Inteatro, doppio colpo alle Muse con Sotterraneo. Alle 18.30 maratona di lettura “Europeana”, alle 20 “Pangea”

Pangea lo spettacolo che Sotterraneo mette in scena per Inteatro 2021
Pangea lo spettacolo che Sotterraneo mette in scena per Inteatro 2021
di Lucilla Niccolini
3 Minuti di Lettura
Giovedì 10 Giugno 2021, 11:22

ANCONA - Saranno i giovani di Sotterraneo i protagonisti, stasera e domani, di Inteatro Festival alle Muse. Tengono dietro all’emozione estetica, che il Duo Kaos - Giulia Arcangeli e Luis Paredes Sapper - ha offerto con evoluzioni eleganti e poetiche, nel cerchio magico che incornicia la fiaba gestuale di “Horizonte”. Nel pronao del teatro va in scena “Europeana”, a partire dalle 18.30: una maratona di 3 ore e mezza di lettura, che Fabio Mascagni farà di un libro di Patrik Ourednik. Lo spettatore potrà assistervi nei tempi che sceglierà. 

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Che idea sta alla base di “Europeana”? 
«La “Breve storia del XX secolo” - risponde il collettivo Sotterraneo - è un libro di cui ci siamo innamorati, che consigliamo a tutti.

L’autore ricostruisce la storia del ‘900, incrociando aneddoti surreali con un approccio freddo, chirurgico, quasi scientifico. Il risultato è un accatastarsi di fatti storici, che attraverso l’ironia dell’accostamento riescono a rinnovare l’orrore, lo stupore, lo shock di un secolo in cui la stupidità della nostra specie si è manifestata in tutto il suo potenziale». 


Il futuro?
Una lezione per il futuro? «La lettura integrale e ininterrotta del libro, che restituisce il vertiginoso ritmo del racconto di Ourednik, sarà digitalizzata. La versione in linguaggio binario sarà poi chiusa in una “capsula del tempo”, e nascosta nel luogo in cui eseguiamo il reading, così da lasciare ai posteri un resoconto impietoso delle assurdità che siamo stati capaci di pensare, dire e fare».


La compagnia si esibisce poi, alle 20 nel Salone delle Feste, anche in “Atlante linguistico della Pangea”. Uno spettacolo di “teatro di parola”?
«In realtà, in “Atlante” usiamo poche parole, presenti ma non centrali, in una sintassi più ampia, in cui il corpo, l’azione e gli oggetti possono “parlare” tanto quanto un testo. Il nostro progetto parte da uno studio sulle cosiddette “parole intraducibili”: vocaboli che nascono in seno a una lingua ma che non possono essere tradotti, se non attraverso intere frasi. Termini, che descrivono concetti universali, propri dell’esperienza di ogni persona, ma specifici della cultura, del contesto etnico e ambientale che li ha creati. L’esempio per noi più eclatante è “iktsuarpok”: nella lingua eschimo-aleutina significa “senso di aspettativa che ti spinge a uscire ripetutamente per vedere se magari qualcuno sta arrivando”».


Da dove nasce questo interesse per tali parole?
«Dalla considerazione che restituiscono la ricchezza della biodiversità delle lingue, molte delle quali avviate all’estinzione. Portarle in scena significa per noi riflettere sulla realtà, da cui quelle parole sono nate, e su lingue che da sempre sono terreno di conquista dei colonialismi e di scontro ideologico. Ma anche di sperimentazione per gli artisti». 

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