Volponi, un autore
da continuare a leggere

Volponi, un autore da continuare a leggere
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Mercoledì 5 Febbraio 2014, 06:52
ROMA - Sono Urbino e Ivrea i due poli, le due diverse realt messe continuamente in opposizione e in conflitto nella vita e nell'arte di Paolo Volponi che il 6 febbraio avrebbe compito 90 anni, mentre il 23 agosto saranno 20 anni da quando se n' andato. Da una parte l'Appennino, il mondo della tradizione e dell'arte, il luogo a misura d'uomo, dall'altro la fabbrica, la realt industriale, l'alienazione, insomma, la natura e l'artificio e il rapporto che con ci ha l'uomo.

Paolo Volponi a Urbino era nato il 6 febbraio 1924 e i suoi esordi sono come autore di versi, ma l'evento cruciale della sua vita fu l'assunzione come dirigente alla Olivetti, dove restò 15 anni, sino al 1971, l'epoca in cui Adriano Olivetti vi portava avanti la sua personale rivoluzione industriale. "Fu quella la mia vera università" ha ripetuto spesso Volponi, ed erano gli anni in cui si cominciava a dibattere del tema letteratura e industria, tanto che l'uscita di 'Memorialè nel 1962 fu un vero evento, che trovò la sua messa a punto e piena consapevolezza critica, risolta con forte vena ironica, ne La macchina mondiale di tre anni dopo. Albino Saluggia e Anteo Crocioni sono i due protagonisti dei romanzi, la cui alienazione e vena di follia diventa la possibilità di una lettura libera e incisiva della realtà italiana di quegli anni, del boom, proponendone una visione decisamente critica, demistificate, con bella capacità inventiva e una forte problematicità.



Albino è un contadino, già segnato dalla guerra, portato via dai ritmi naturali della terra e costretto a quelli ossessivi e meccanici della catena di montaggio della fabbrica “lucente come un pezzo di stella caduto”. Così, nel suo isolamento e attraverso la perdita della sua ragionevolezza, si vive la caduta di ogni illusione rispetto a possibili sorti progressive ammantate di razionalità pur in una realtà seducente come quella della Olivetti d'allora. Il passo successivo è allora la follia utopica e visionari di Anteo, lui pure contadino dell'Appennino marchigiano, che, cercando una soluzione all'incontro tra il naturale e l'artificiale, inseguendo l'idea fantasiosa di una macchina che risolva tutti i problemi, riportando in primo piano i valori più umani in un mondo che li ha travolti, diventa per esso eversivo elemento di disordine. Il senso di giustizia e giusta misura è come si rivoltasse contro chi lo professa e ogni conciliazione appare sempre più impossibile.



Così, con Corporale, che esce nel 1974 e nasce negli anni complessi della Contestazione, Volponi cambia prospettiva e sceglie quale protagonista Gerolamo Aspri, un intellettuale di sinistra, irregolare e emarginato per la sua carica utopistica e la sua ricerca di una conciliazione possibile - ci si perdoni l'inevitabile semplificazione - tra una realtà fisica che è parte della natura e una razionalità scientifica non mistificatoria, il tutto costruendo un rifugio antiatomico (ha la fobia della bomba) sottoterra per condurvi tale esperimento, in nome di una cultura che ridiventi empatica con la società.



Un mondo che si troverà anche nel successivo Sipario ducale, questa volta in terza persona, quasi a evitare il coinvolgimento in un sorta di lirismo autobiografico e segnato dall'ideologia.



Bisogna tra l'altro ricordare l'impegno di Volponi nella politica, che gli costerà anche il suo nuovo legame lavorativo con la Fiat, senatore per il Pci negli anni '70 e poi deputato di Rifondazione comunista negli anni '80, portato avanti in maniera personale, pensando alla necessità d'una modernizzazione sociale e economica sorretta da un piano di rivalutazione e difesa del nostro patrimonio artistico e ambientale, cosa di cui ancora si discute vanamente a 40 anni di distanza.



I suoi romanzi successivi, oltre a un ritorno alla poesia, avranno quindi una misura diversa e più sofferta, acquista toni più aspri e lui stesso dirà a un certo punto di scrivere “per dileggio, per aggressione”. Il lanciatore di giavellotto è del 1981, forse il suo libro più complesso e problematico con anche particolari scelte linguistiche, in cui rievoca la formazione di un adolescente negli anni del fascismo: del 1989 è Le mosche del capitale, nuova durissima parodia del mondo industriale liberista, che riesce nuovamente a far discutere. E proprio in questa vitalità, anche poetica, resta la forza, che non è appunto solo di testimonianza, delle sue opere a venti anni dalla sua morte improvvisa a soli 70 anni.
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