Di Cioccio sul concerto della Premiata Forneria Marconi ad Ancona: «La nostra musica per Faber»

Di Cioccio sul concerto della Premiata Forneria Marconi ad Ancona: «La nostra musica per Faber»
Di Cioccio sul concerto della Premiata Forneria Marconi ad Ancona: «La nostra musica per Faber»
di Saverio Spadavecchia
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Giovedì 26 Ottobre 2023, 03:25 - Ultimo aggiornamento: 27 Ottobre, 10:06

ANCONA - A 45 anni dagli storici live (poi anche due album di grande successo) che raccontarono l’incontro tra Fabrizio De Andrè e la Pfm, la storica progressive band italiana tornerà nelle Marche per incantare il pubblico del Teatro delle Muse di Ancona. Martedì prossimo, 31 ottobre, la band di Franz Di Cioccio viaggerà attraverso il tempo, raccontando una storia che ancora suona rivoluzionaria, tra musica e poesia. Il sipario del Massimo dorico si alzerà alle ore 21, e proprio Franz Di Cioccio ci ha raccontato cosa succederà durante l’imminente spettacolo marchigiano.

 
Che tipo di concerto e di approccio si deve aspettare chi martedì siederà all’interno del teatro anconetano?
«Il nostro sarà un concerto profondo, con la poesia di Faber e la musica della Pfm portermo il pubblico a volare in alto.

Le affinità elettive di Fabrizio e della Pfm saranno allo stesso livello. Ogni parola di Faber è stata centellinata e ogni nostra nota sarà il vestito per le sue parole. Sarà un concerto che possiamo definire insolito, un affresco musicale fatto di note ma appoggiato sulla poesia».

Quindi il pubblico sarà parte integrante di uno spettacolo come di martedì?
«Noi creiamo un’attesa e una sorpresa, quindi il pubblico di questo concerto sarà protagonista assoluto e riuscirà a comprendere che sta assistendo a qualcosa di bello. Non sono io che canto, ma racconto una storia ed il pubblico l’ascolterà, un condensato della nostra musica e della poesia. Fabrizio ai tempi di quella tournée non pensava potesse succedere, non era nella sua indole, ma alla fine è accaduto».

Il vostro mondo musicale era diversissimo rispetto a quello di Fabrizio De Andrè, quanto è stato difficile coniugare queste due visioni?
«Tra me e Fabrizio c’è stata una amicizia profonda, siamo stati in grado di interagire e quello che è venuto fuori non è stato certamente banale. Mi ero sempre chiesto perché i grandi artisti in Italia non si incontravano mai musicalmente, l’avevano fatto all’estero Jackson Bronwe e gli Eagles e così sono andato a trovarlo in Sardegna. Abbiamo parlato, sono riuscito a convincerlo perché ha capito la forza dell’idea, e così abbiamo poi deciso di lavorare insieme. Evidentemente quello che ci siamo detti in Sardegna è servito, e non per i soldi, ma per quelle affinità elettive tra parole e musica».

Con quei concerti e quei dischi avete rotto un tabù: unire rock e musica “colta”. Ve ne stavate rendendo conto?
«Volevamo creare qualcosa che ancora non c’era, abbracciare la musica e la poesia e questa cosa è avvenuta con Fabrizio. Sembrava apparentemente impossibile, ma poi quando tutti hanno sentito cosa abbiamo fatto hanno capito cosa voleva dire questo nostro incontro. Questo incontro è stato voluto e cercato, di sicuro non l’abbiamo fatto per stupire. Abbiamo dato la nostra musica a Fabrizio, perché lui era la persona adatta».

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