PESARO Condannata per appropriazione indebita la dipendente infedele, ma l’azienda per cui lavorava si vede restituire solo 900 euro rispetto ai 150mila euro sottratti. Spiccioli, anzi spicci. La protagonista è una 50enne pesarese, Sara M., condannata per appropriazione indebita perché ha effettuato tra il 2015 e il 2020 bonifici dal conto corrente della ditta al suo o anche su una carta prepagata a suo nome. Altre volte invece si è aumentata lo stipendio e in un paio di occasioni, sarebbe addirittura arrivata a pagarselo per intero due volte nello stesso mese. Operazioni diversificate e nascoste, ma alla fine la somma totale ha toccato 150mila euro nell’arco di 5 anni, tra il 2015 e il 2020.
Pena sospesa
Qualche giorno fa, l’imputata dipendente di una impresa manifatturiera di Pesaro, ha patteggiato la pena (sospesa) a 20 mesi di reclusione.
La scoperta dopo 5 anni
Dopo cinque anni però, qualcosa non tornava. E il campanello d’allarme è arrivato in una serata di ottobre. «Aveva persino fatto in modo che la carta di debito inviasse a lei i messaggi di prelievo dai bancomat dei contanti. Ma quel giorno erano scaduti i termini e il messaggio è arrivato sul mio telefonino. Ho chiesto subito conto di cosa fosse e abbiamo scoperto tutto l’ammanco. Circa 150mila euro in cinque anni». Il titolare dell’azienda e il commercialista sono andati a ritroso nei bilanci trovando le voci strane di prelievi e bonifici. Tutto molto mascherato, ma con alcuni approfondimenti si è arrivato a scoprire tutto, anche pagamenti di profumi e altri prodotti personali. «Era un momento delicato, in piena pandemia. Per noi è stata una ulteriore difficoltà in un periodo complicato economicamente». Ma oltre al danno anche la beffa. Il titolare della ditta, sostenuto dall’avvocato Andrea Casula, ha avviato la causa. «E’ vero che la giustizia è andata fino in fondo ed è stata condannata. Ma di quei 150mila euro l’azienda è stata risarcita per appena 900 euro. Quanto le serviva per dimostrare che c’era l’impegno a risarcire. Non rivedremo mai quei soldi. E oggi quella signora lavora in un’altra ditta».