PESARO - Margherita Lambertini, 52 anni, è un medico del pronto soccorso di Marche Nord, impegnata nella lotta al coronavirus. Il suo volto, una maschera di resiliente stanchezza, ritratto con i segni profondi lasciati non solo dalla mascherina al termine del turno, ha fatto il giro del mondo insieme a quelli dei colleghi dell’ospedale San Salvatore di Pesaro, protagonisti del reportage fotografico di Alberto Giuliani, che ha ispirato la Campagna internazionale Courage is beautiful di un noto brand.
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La storia di Margherita è però diversa da tutte le altre. La sua battaglia non si ferma in corsia, prosegue tra le mura domestiche. Margherita è, infatti, anche mamma di Emma, una bambina di 11 anni affetta da fibrosi cistica, la malattia genetica grave più diffusa e ancora orfana di una cura risolutiva.
Proprio Margherita è la protagonista di una nuova Campagna raccolta fondi promossa da Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica, “Fibrosi cistica, urgenza nell’emergenza”, per ricordare che la ricerca su questa malattia non si può fermare. Per lei lavorare in piena pandemia ha significato condividere il rischio con la sua bambina fragile. «È stata una decisione combattuta. All’inizio come madre - racconta il medico - non volevo andare al lavoro per timore di esporre mia figlia al rischio contagio, ma era assolutamente impossibile non farlo, proprio per me stessa, perché questa è la professione che ho scelto ed è un mio dovere. Dall’altra parte ho dovuto fare i conti con il mio essere madre e con il desiderio di proteggere mia figlia da questo virus ad altissimo rischio. Ho scelto quindi l’autoisolamento. Ho la fortuna di avere una casa grande, dove ho potuto ricavare uno spazio per me. Da circa due mesi non tolgo praticamente mai la mascherina, passo da quella ad alta protezione in ospedale a quella chirurgica in casa.
«E poi c’è l’iter della pulizia quotidiana, si comincia al mattino con la pulitura delle superfici, delle mani e degli oggetti che utilizziamo in comune. Devo dire che mia figlia ha compreso la situazione da subito, non c’è stato nemmeno bisogno di spiegare».
La volontà di esserci
«Posso dire però che in queste settimane ho visto e vissuto tanto volontariato nelle corsie dell’ospedale, tra gli operatori, per il fatto di sottoporsi tutti a turni massacranti senza che ci fosse bisogno di chiederlo, perché chi era lì rimaneva proprio perché rimanevano gli altri. Ci si guardava intorno e nessuno andava via, era una forza reciproca a sostenerci. Mi auguro che tutto questo ci dia forza anche per il futuro.Come medico, come mamma cosa vorrebbe dire a chi ci governa? «Sono scoraggiata. Bisognerebbe che chi decide di sanità avesse le competenze, tecniche e umane, per comprendere di cosa si stia parlando e cosa stia succedendo; che la salute pubblica non fosse il terreno di battaglie politiche a scapito dei cittadini. E che le emergenze venissero pianificate in tempo di pace, poiché non esiste il pensiero “tanto qui non può succedere”, i confini umani e geografici non esistono più. Ma sono pensieri di buon senso civico antichi, che purtroppo rimarranno tali».
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