Mauro Sandreani e quel “no” a Mancini: «Ho preferito Cantiano all'Arabia, ma lo ringrazierò per sempre»

Mauro Sandreani e quel “no” a Mancini: «Ho preferito Cantiano all'Arabia, ma lo ringrazierò per sempre»
Mauro Sandreani e quel “no” a Mancini: «Ho preferito Cantiano all'Arabia, ma lo ringrazierò per sempre»
di Gianluca Murgia
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Sabato 4 Novembre 2023, 04:30 - Ultimo aggiornamento: 5 Novembre, 09:01

Mauro Sandreani, 69 anni, è nato a Roma ma vive dal 1977 a Cantiano. Calciatore di Roma (esordio con Liedholm), Genoa e Vicenza di Paolo Rossi («Arrivammo secondi. Paolo era fenomenale: classe, umiltà e umanità uniche») ha chiuso la carriera nella Vis Pesaro nel 1987. Da allenatore ha riportato in A il Padova, guidando tra le altre Empoli, Torino («Incredibile la passione che si tramanda di padre in figlio nonostante vincano spesso le altre») e Tenerife prima di entrare, nel 2004, nella Juve fino a diventarne responsabile delle metodologie del settore giovanile. Con l’arrivo di Conte, da collaboratore tecnico, vince tre scudetti. Lo segue in Nazionale e ci resta con Mancini da direttore area scouting. E’ stato commentatore Rai e voce del videogioco Pes con Marco Civoli.

Cantiano batte Arabia Saudita. Può accadere. Perché «la serenità della famiglia viene prima». Mauro Sandreani ha la voce pacata e garbata ma che, come nella mitologica Pes, tradisce sfumature romanesche trasudanti passione per il calcio, la sua vita.

 
È vero che Mancini la voleva in Arabia?
«Sì. Lo ringrazierò sempre per la sua considerazione ma non me la sono sentita di dare un taglio alla mia vita».
Qual è la sua vita ora?
«Mi godo la serenità della famiglia a Cantiano, dopo 2 decenni di ritmi forsennati tra Juve, 9 anni fisso a Torino, e Nazionale italiana con aerei presi alle 6 di mattina e notti passate a scrivere relazioni».
E il calcio?
«La passione è intatta. Anzi, sto cercando di non perdere il ritmo: guardo tanto calcio e faccio analisi».
C’è già qualche nuovo progetto?
«Qualcosa, forse, all’orizzonte»
Cantiano, profonde Marche del nord, camera di decompressione naturale.
«Il mio microcosmo tra amici, famiglia e nipoti. Sto apprezzando l’andare in giro con mia moglie, la passeggiata con i cani, la natura...».
Un ritorno alle origini.
«I miei genitori erano partiti da qui per Roma negli anni ‘50, mio padre era medico, vivevamo alla Balduina. Mia moglie è di Cantiano, quando ci siamo sposati nel ‘77 sono tornato qui anche se per il calcio alla fine ho sempre girato».
Suona ancora la chitarra?
«Ho un ricordo doloroso dell’ultima volta: ero con Vialli e tutta la Nazionale a Coverciano. Abbiamo suonato “Con il nastro rosa di Battisti”, Luca cantava. Ora suona mia figlia, le ho trasmesso la passione».
La passione per il calcio invece l’ha trasmessa a suo figlio Ale che ha giocato in B e ora allena la primavera della Vis Pesaro.
«E ai miei nipoti che giocano a Cagli, vado a vederli ma non do mai consigli».
L’assioma di De Gregori - un giocatore lo vedi dal coraggio, altruismo e fantasia – è ancora valido oppure oggi bisogna aggiungere anche la “fisicità”? 
«De Gregori raccontava di un giovane Bruno Conti e quelle cose sono ancora importanti. Ma il giocatore forte è una miscela e il talento lo riconosci subito».
La differenza tra il calcio di oggi e quello di Sandreani calciatore?
«Prima tutto nasceva dalla strada, si giocava dalla mattina alla sera, tutti contro tutti, si arrivava a 10 e si rifacevano le squadre. Pratica fatta sul campo. Io ho iniziato così e a 14 anni sono entrato nella Roma. Oggi c’è la scuola calcio ma i bambini giocano molte meno ore».
Il talento in Italia si è estinto? 
«Il talento si scopre, si allena e migliora. Oggi in Italia c’è carenza di istruttori specifici per fasce d’età».
Lei è stato prima con Conte e poi con Mancini. Differenze? 
«Grandi allenatori, caratteri diversi. Antonio è un fuoriclasse assoluto per convinzione, forza di persuasione e insegnamento. Roberto è sensibilissimo, ha il cuore enorme e predilige la componente tecnica, come era lui. Per 5 anni ci siamo sentiti tutti i giorni».
Cosa ne pensa delle polemiche sull’addio di Mancini alla Nazionale?
«Mi è dispiaciuto molto per come è stato trattato. Roberto intende lo staff come una seconda famiglia. Quando glielo hanno cambiato, e io sono stato uno di quelli insieme ad Evani, Lombardo, Nuciari e con Oriali in bilico, la situazione lo ha un po’ squilibrato. Con lui parlavamo di programmi futuri...».
Lei come l’ha presa?
«Sono rimasto sorpreso e spiazzato dalla scelta della Federazione anche perché sapevo quanto Roberto tenesse alla mia figura professionale ma ringrazio comunque per l’esperienza meravigliosa vissuta con un Europeo vinto». 
L’amarezza è sparita?
«È durata mezza giornata. Subito dopo si era aperta la possibilità di ricreare lo staff in Arabia».
La gioia più grande nel suo lavoro?
«Tre, sono momenti storici di cui non riesco a fare una classifica: l’Europeo vinto e il giro di Roma sul pullman scoperto. Poi, lo scudetto dei 102 punti con la Juve di Conte. Ero nello staff di campo, una integrazione totale. Infine la promozione in A, da allenatore, con il Padova nel ‘94. Attendevano da 32 anni».
Perché ha smesso di allenare in prima persona? 
«Sono meticoloso, studiavo tutto e pensavo: ma se poi perdiamo per un tocco fortuito in area e il presidente mi esonera? Per fare l’allenatore ci vuole forza interiore per reggere certe pressioni».
Si ricorda cosa ha fatto con i primi stipendi guadagnati con il calcio?
«Il primo l’ho preso da calciatore alla Roma: un milione e mezzo di lire al mese. Io, però, vivevo di passione e mi sentivo già privilegiato a giocare nella squadra della mia città. La sede era al Circo Massimo, scomoda: a volte lasciavo lo stipendio lì e ne pigliavo 2 il mese dopo». 
Per i giovani calciatori servirebbe un limite agli stipendi nei primi anni?
«Servono solo buon senso, valori ed educatori a partire dalla famiglia»
In un calcio alla deriva, la storia del tifoso pesarese che porta il figlio cieco allo stadio, raccontandogli la partita all’orecchio, fa bene all’anima.
«Capisco quel padre: meraviglioso. Si deve sempre poter sognare, io vivo con questa passione da sempre». 
 

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