Il prof Tagliabracci (Comitato Etico): «C’erano le 4 condizioni richieste. Non possiamo condannare nessuno a vivere»

Adriano Tagliabracci
Adriano Tagliabracci
di Andrea Maccarone
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Venerdì 17 Giugno 2022, 09:05 - Ultimo aggiornamento: 14:28

Professor Adriano Tagliabracci, ordinario di Medicina legale all’Univpm e componente del Comitato etico Regione Marche: la morte di Mario riapre la questione annosa del diritto al suicidio assistito.
«La mia posizione è di assoluta libertà. Sono del parere che non bisogna condannare una persona a vivere, ma dare al soggetto richiedente la possibilità di morire se trova che la sua situazione sia insopportabile». 
Quando una condizione fisica può essere ritenuta tale? 
«Devono sussistere quattro condizioni che possano permettere al soggetto di richiedere il suicidio assistito, come previsto dalla Corte Costituzionale». 

 
Ovvero? 
«Che debba essere affetto da malattia grave, cronica e irreversibile. Che questa causi sofferenza fisica e psichica. Che vi sia la possibilità del soggetto di autodeterminarsi e che questa autodeterminazione sia presente e stabile. E infine: che sia assistito da presidi di sostegno vitale». 
La questione etica può diventare un ostacolo? 
«Noi abbiamo un’etica di due tipi: laica e cattolica. Secondo quest’ultima nessuno si può togliere la vita perché è un dono di Dio. Io non la penso così, ho una visione laica. Il Comitato nazionale di bioetica si è espresso e si è anche diviso su questi problemi, riconoscendo però la possibilità di accedere al suicidio assistito quando sussistano le quattro condizioni fondamentali». 
La medicina come deve porsi di fronte a questo tema? 
«La medicina ha il compito di cercare comunque di aiutare queste persone togliendo loro dolore e sofferenza, e dando speranze attraverso nuovi farmaci. Soprattutto il servizio sanitario nazionale deve mettere a disposizione mezzi e strutture efficienti e adeguate, che non inducano queste persone a scegliere di morire». 
Qual è il confine tra il diritto di un paziente in condizioni irreversibili e il dovere dello Stato? 
«Il dovere dello Stato è di mettere a disposizione tutti i mezzi possibili affinché la persona non arrivi a chiedere di porre fine alla propria vita.

Se poi i mezzi a disposizione non sono sufficienti, lo Stato deve aiutare queste persone a farlo nel modo più degno possibile». 

Può l’aspetto religioso intervenire in situazioni come queste? O è meglio che il tutto venga mantenuto nell’alveo della sfera scientifica? 
«Parliamo di situazioni molto delicate e sempre di carattere individuale quando si fa riferimento alla scelta di autosomministrarsi il farmaco letale. Ci sono persone che, pur vivendo molto male la loro situazione, ritengono di voler continuare a vivere. Altri, invece, hanno una visione diversa e ritengono di non poter continuare dopo aver perduto la vita che avevano in precedenza».

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