Angelo Spina, arcivescovo di Ancona: «I suicidi, una sconfitta per l’umanità. Aiutiamo la vita non la morte: serve una società solidale»

"Aiutiamo la vita e non la morte"

Angelo Spina, arcivescovo di Ancona: «I suicidi, una sconfitta per l’umanità. Aiutiamo la vita non la morte: serve una società solidale»
Angelo Spina, arcivescovo di Ancona: «I suicidi, una sconfitta per l’umanità. Aiutiamo la vita non la morte: serve una società solidale»
di Maria Teresa Bianciardi
3 Minuti di Lettura
Venerdì 17 Giugno 2022, 09:04 - Ultimo aggiornamento: 14:28

Monsignor Angelo Spina, arcivescovo metropolita di Ancona-Osimo: tre giorni fa Fabio Ridolfi, che ha deciso di mettere fine ad un calvario durato 18 anni con la sedazione profonda e ieri Federico Carboni, primo paziente che ha avutp accesso al suicidio assistito. Di fronte a queste due vite spente a poche ore di distanza l’una dall’altra, quale è stato il suo primo pensiero?
«Le vicende personali e umane sono sempre dolorose, soprattutto quando si attraversa il calvario della sofferenza, ma di fronte alla vita noi dobbiamo avere un atteggiamento fermo. La vita è un dono e non può essere toccato, nè scalfito: se si tocca il valore fondamentale della nostra esistenza tutto il resto crolla». 

 
Fabio e Federico hanno portato una croce diventata negli anni sempre più pesante. Anche Antonio, terzo marchigiano ad avere scelto la strada del suicidio medicalmente assistito, è il testimone di una vita che va oltre la sofferenza. E chiede morire.
«Ma quando la morte viene provocata da soggetti esterni o dallo stesso malato, questa diventa una ferita per tutta l’umanità, perchè è una vita che viene spenta volontariamente e non si spegne naturalmente. La morte va accettata, ma non deve essere somministrata: la vita è il valore più alto che noi abbiamo».
Perchè si arriva a chiedere di morire?
«Succede in una società sempre più individualista. Di fronte ad una persona che soffre abbiamo bisogno di solidarietà, vicinanza, sostegno. Non bisogna lasciare le persone al proprio destino. Mi ha colpito una scritta sul muro di un ospedale: “Noi ce la mettiamo tutta per guarire, se non riusciamo a guarire ci impegniamo a curare e se non riusciamo a curare ci impegniamo a consolare”. Questa è la missione dell’umanità».
La vita, dunque. Oltre ogni sofferenza.
«Se si afferma il principio che una persona può decidere il proprio futuro, questa non è una cultura della vita ma è una cultura della morte. Durante il Covid ci sono stati medici che hanno sacrificato la propria vita per curare i malati. È di questo che abbiamo bisogno: di una umanità che scommette sulla vita e non sulla morte, perchè la vita è l’unico bene di cui non possiamo disporre secondo la nostra volontà».
Anche quando diventa insopportabile, come lo è stata per Fabio e Federico, come lo è per Antonio e chissà per quanti altri?
«La vita non può essere soppressa. La dobbiamo conservare come ci è stata donata, dal concepimento alla morte naturale. E di fronte a qualsiasi persona sofferente c’è bisogno di tanta solidarietà per fare sentire che tutti lottiamo affinchè quella vita sia vita e non morte».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA