ANCONA - Pietro Marcolini, presidente dell’Istituto Adriano Olivetti di Ancona: per la nostra economia quella appena finita è stata una settimana da montagne russe con Ariston Thermo pronta a riportare la parte della produzione in Italia e anche nelle Marche, Elica che con l’accordo al Mise ha fermato la delocalizzazione e l’esubero di circa 400 lavoratori. Ma c’è anche Caterpillar a Jesi che invece ha annunciato lo stop alla produzione: un fulmine a ciel sereno.
«C’è disorientamento di fronte a certe crisi che si aprono all’improvviso come quella di Caterpillar, bilanciata fortunatamente dalle notizie che arrivano dal Fabrianese. Segno che la crisi continua, la frenata non è ancora conclusa ma che i segnali tracciano una rotta più positiva che negativa».
Siamo autorizzati ad essere ottimisti per il futuro dell’economia marchigiana?
«Senza esagerare, i dati sull’occupazione, sulle esportazioni e sugli investimenti vanno nella direzione auspicabile».
I fattori decisivi?
«Il Pnrr, il fondo complementare e nelle Marche in particolare la Ricostruzione post sisma - che riguarda l’aspetto cantieristico ma anche di sviluppo economico - compongono quelle condizioni favorevoli che ci fanno cogliere segnali positivi per il prossimo futuro.
Prego.
«Bisogna evitare che sia soltanto una fiammata. L’andamento dell’economia si deve stabilizzare in una prospettiva di crescita modernizzata più adeguata ai tempi».
Come si riuscirà a raggiungere questo obiettivo, che rappresenta il nodo cruciale per una vera svolta imprenditoriale?
«Intanto rafforzando la capacità di progettazione e di direzione strategica delle nostre produzioni. Nelle Marche siamo molto bravi, flessibili e capaci, ma per la maggior parte siamo fornitori e subfornitori di produzioni concepite altrove. Dovremmo concentrarci sulla nascita di produzioni con sedi strategiche ancorate alla nostra regione e all’Italia. La notizia di Ariston Thermo è quella auspicabile: un’azienda che produce per l’89% all’estero, ancorata saldamente al territorio come proprietà e tradizione, annuncia un rientro a cui seguiranno investimenti e assunzioni. Notevole».
Insomma esistono chiari segni di ripresa e resilienza dopo la decisione della Ue di declassare le Marche da regione ordinaria a regione in transizione.
«In questa fase economica in chiaroscuro, percepisco più il chiaro e penso che questi anni Venti per le Marche siano paragonabili agli anni Settanta con una importante rivoluzione del paradigma digitale».
La verità è che da almeno 15 anni il sistema economico - e dunque le imprese - è stato travolto da tutto. C’è la stata la grande crisi, poi il sisma e come se non bastasse due anni di pandemia da Covid.
«Sulle montagne russe, appunto. E nel frattempo abbiamo lasciato sul campo molti morti e feriti: il famoso modello Marche in questi anni terribili ha esaurito la sua forza produttiva, ma non si è distrutta realtà sottostante e dai distretti si passa a distribuzione ecosistemici, con investimenti importanti, bisogna evitare frammentizzare le risorse, premiare le filiere, formazione e adeguamento competenze».
Anche il passaggio generazionale è stato un capitolo sofferto per molte aziende marchigiane.
«Il cambio generazionale significa che i capitani coraggiosi degli anni Settanta hanno lasciato il campo per motivi anagrafici o per la vendita delle imprese. Non sempre è andata bene ma negli ultimi tempi si vedono nuovi ingressi nel mercato borsistico e si registrano esperienze che funzionano. Vedendo i dati patrimoniali delle imprese, la disponibilità dei depositi bancari e le risorse pubbliche credo sia arrivato il momento di pensare positivo».