Sanremo, il ritorno di Giovanni Allevi due anni dopo. «Il corpo fa male, suono con l'anima». E libera i ricci bianchi

Il maestro ascolano è tornato ad esibirsi davanti al pubblico: tutti in piedi all'Ariston

Sanremo, il ritorno di Giovanni Allevi due anni dopo
Sanremo, il ritorno di Giovanni Allevi due anni dopo
di Gianluca Murgia
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Mercoledì 7 Febbraio 2024, 22:42 - Ultimo aggiornamento: 8 Febbraio, 17:28

Non si dimenticherà in fretta il vortice di emozioni e applausi del Teatro Ariston di Sanremo, in piedi all'unisono, le mani di Giovanni Allevi strette in preghiera, poi conserte vicino al cuore, la testa che si abbassa per ringraziare, i riccioli ora bianchi liberati sul palco.

Giovanni Allevi, artista ascolano che da due anni lotta contro un mieloma multiplo, «una neoplasia cronica», è tornato a suonare e parlare davanti al pubblico, su un palco, dal vivo. Un discorso carico di lacrime e sofferenza, il suo, con sorrisi e speranza, purezza, emozioni e disincanto in stile Allevi, con la voce leggera come sempre, anche quando ricorda che «all'improvviso mi è crollato tutto» e che «non suono più il pianoforte davanti al pubblico da quasi due anni». Che per un musicista è come togliere l'aria, vivere sottovuoto. «L'ultimo concerto, a Vienna, il dolore alla schiena era talmente forte che sull'applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello. Non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi, pesantissima». Mieloma. «Ho guardato il soffitto per un anno consecutivo - ha riavvolto il nastro il maestro, davanti ad Amadeus - Ho perso i miei capelli e il lavoro ma non la speranza e la voglia di immaginare».

I doni

Parole dirette, da cuore a cuore, potenti come schiaffi. «Era come se il dolore mi porgesse degli inaspettati doni.

Quali? Durante un concerto avevo notato una poltrona vuota, mi sono sentito mancare. Eppure agli inizi ho fatto concerti davanti a 15-20 persone, ed ero felicissimo. Oggi dopo la malattia non so cosa darei per suonare davanti a 15 persone. I numeri non contanto. Sembra paradossale detto da qui. Ogni individuo è unico, irripetibile, infinito a suo modo. Un altro dono: la gratitudine nei confronti della bellezza del creato, non si contano le albe e i tramonti che ho osservato dalle stanze dell'ospedale. La riconoscenza per il talento dei medici e infermieri, tutto il personale ospedaliero, la riconoscenza per la ricerca scientifica senza la quale non sarei qui a parlare. La riconoscenza per la mia famglia, per la forza e pazienza che ricevo dagli altri pazienti. I guerrieri, li chiamo. E lo sono anche i loro familiari e i loro genitori. Come promesso vi ho portato sul palco» ha sospirato Allevi, porgendo metaforicamente le mani all'aria cercando di cogliere e strigere amici invisibili.

La lotta e la speranza

«C'è ancora un dono: resta in piedi solo l'essenziale, il giuzio dall'esterno non conta più. Io sono quel che sono. Kant diceva che il cielo stellato continua a volgere nelle sue orbite. Io sono quel che sono. Voglio accettare il nuovo Giovanni. E' liberatorio essere se stessi». Allevi, pronunciando queste ultime parole, si toglie il cappello e libera i capelli bianchi. Una catarsi. «Per dare forza e speranza a chi come me lotta contro la sofferenza suonerò di nuovo il pianoforte davanti al pubblico. Ed è una emozione grandissima. Ho due vertebre fratturate e tremore e formicolio alle dita. Ma come dissi a Vienna, non potendo contare più sul mio corpo suonerò con l'anima». 

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