ANCONA - Il tempo è scaduto e la materia scotta. Con un decreto legge approvato il venerdì prima di Pasqua, la questione degli operatori sanitari no vax da spostare a mansioni lontane dai pazienti balla sul filo del rasoio.
In ordine sparso: ci sono le aziende sanitarie che sventolano i pareri del Garante e aspettano l’editto dalla Regione, gli integralisti duri e puri in corsia (pare rimasti in pochi: si parla di un 2-3% del personale), gli integralisti che invece si guardano intorno, le Regioni che annusano l’aria in conferenza Stato-Regioni in attesa del kamikaze di turno che sfidi la gragnuola di ricorsi verso ogni tipo di tribunale. Sopra di tutti, invece, è sospeso il rischio, che sa tanto di spada di Damocle, del caso-pilota: il medico o l’infermiere no Vax che infetta i malati di un reparto.
I nodi da sciogliere
Nel frattempo il decreto legge, invocato e sacrosanto, langue nella palude dei tatticismi. «Anche perché non è stato scritto neanche benissimo – mormorano i legali di palazzo Raffaello – e in sede di conversione probabilmente qualcuno ci ripasserà sopra». Certo, la materia è complessa. La prima lettera da Palazzo Rossini per gli ordini professionali e le aziende sanitarie è partita quasi in tempo reale con il decreto: fateci avere gli elenchi poi valutiamo. Così dice la legge. Risposte incerte, per ora, tendenti alla dissolvenza. Al punto che la Regione Marche non ha una mappatura precisa e finale degli operatori no-Vax alle dipendenze delle sue aziende.
Le sfumature di grigio
I quesiti da chiarire
A chiarire qualche particolare, per esempio: ci dite quanti operatori si sono vaccinati? Di quelli a oggi non vaccinati ci dite quanti si sono comunque iscritti per sottoporsi alla fatidica prima dose? E poi: dei non vaccinati e non iscritti, potete sottoscrivere la volontà di chi non vuole la somministrazione? Tra le righe si potrebbe anche leggere un tacito appello a stanare i furbetti che tra idealismo e opportunismo una terza via senza troppi danni la rimediano sempre. La sintesi è comunque chiara: a ognuno i suoi diritti (privacy compresa) ma pure i suoi doveri. Anche perché – sarebbe il monito della lettera – c’è una catena di responsabilità connessa a questa storia che poi deve essere tracciabile. Da chi dice no al vaccino fino ai dirigenti responsabili delle strutture che devono garantire la sicurezza di chi entra nella loro struttura.
I rischi da non sottovalutare
Dopodiché chi sceglie di non vaccinarsi se lavora a contatto con i pazienti va spostato ad altri compiti, come vuole la legge. Non è un pugno di ferro ma è un fermo invito alla concretezza. Con il quale si ricorda anche che non solo l’emergenza non è finita ma che le misure previste nei protocolli vanno seguite alla lettera e fino in fondo visto che anche tra i vaccinati c’è chi si è reinfettato e quindi, per deontologia, principio di responsabilità e casistica empirica, è bene seguire le regole. Nel dubbio, ci mancherebbe altro.
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