Alluvione nelle Marche, 14 avvisi di garanzia per omicidio colposo. La procura: «Allarme dato in ritardo, sistema allerta inadeguato»

Indagati sei sindaci, due funzionari dei vigili del fuoco e sei della Protezione civile: tutti i nomi

Alluvione nelle Marche, 14 avvisi di garanzia. Allarme dato in ritardo
Alluvione nelle Marche, 14 avvisi di garanzia. Allarme dato in ritardo
di Lorenzo Sconocchini
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Mercoledì 1 Novembre 2023, 02:45 - Ultimo aggiornamento: 3 Novembre, 07:28

ANCONA Più che il diluvio universale di quel maledetto 15 settembre 2022, quando il cielo si aprì sopra la vallata del Misa e del Nevola, poterono i ritardi nel dare l’allarme e il flusso inceppato delle comunicazioni. Più ancora delle piogge eccezionali, con il record delle precipitazioni sulle Marche a partire dal 1929, pesarono i piani di protezione civile comunali non aggiornati, che lasciarono le popolazioni impreparate, la mancata attivazione dei monitoraggi a vista dei punti critici e soprattutto una procedura di allertamento regionale sull’innalzamento del livello dei fiumi, non idonea a far scattare l’allerta in tempo utile. Tanto che - è un dato ormai assodato - l’allarme dalla sala operativa unificata della Protezione civile di Ancona partì solo alle dieci di sera, con tre ore di ritardo, quando nei comuni dell’entroterra senigalliese si contavano già morti e dispersi nello tsunami di acqua e fango. 


Il piccolo Mattia

A queste conclusioni parziali, al momento un semplice embrione di ipotesi d’accusa, arriva per ora l’inchiesta sulla tragica alluvione che la sera del 15 settembre di un anno fa colpì soprattutto la zona a cavallo tra le province di Ancona e Pesaro, facendo 13 vittime in sei comuni del Senigalliese, compreso un bambino di 8 anni, il piccolo Mattia Luconi, strappato dalla piena del Nevola all’abbraccio della mamma. 
L’indagine passata nel marzo scorso dalla Procura di Ancona a quell’Aquila (perché tra i danneggiati dalle esondazioni c’è un magistrato in servizio nel tribunale dorico) ha fatto segnare ieri il primo scatto formale, con l’invio di 14 inviti a comparire firmati dal pubblico ministero Fabio Picuti e indirizzati a sei sindaci della vallata del Misa e del Nevola, a due funzionari di primo piano dei vigili del fuoco di Ancona, compreso il comandante provinciale Pierpaolo Patrizietti (così stimato che tre settimane fa aveva ottenuto i complimenti della Presidenza del Consiglio per la gestione dell’emergenza) e a sei tra responsabili, funzionari e operatori della Protezione civile regionale e del Sistema integrato di emergenza.
“Avvisi”, sia chiaro, emessi a garanzia degli indagati, invitati a presentarsi nelle prossime settimane per l’interrogatorio presso il Comando dei carabinieri forestali di Ancona, che hanno condotto l’inchiesta insieme ai colleghi del Nucleo investigativo.


La cooperazione colposa


I 14 sono tutti indagati per il reato di cooperazione in omicidio colposo plurimo, l’unico reato indicato al momento negli avvisi della Procura aquilana, che però potrebbe ancora “coltivare” sotto traccia un secondo filone d’indagine relativo alla manutenzione dei fiumi (per la quale era stata affidata una competenza) in cui si ipotizza il reato di disastro colposo.

Per ora, le contestazioni riguardano condotte colpose “commissive e omissive” che in cooperazione colposa (ognuna indipendentemente dalle altre) avrebbero «per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione di norme» causato la morte di 13 persone travolte dalle acque del fiume Misa e del torrente Nevola, esondati per le forti piogge. Sono finiti sotto inchiesta anche sei sindaci (Dario Perticaroli di Arcevia, Riccardo Pasqualini di Barbara, Carlo Manfredi di Castelleone di Suasa, Letizia Perticaroli di Serra de’ Conti, Federica Fanesi di Ostra e Marco Sebastianelli di Trecastelli) che nell’immediato post alluvione erano stati i primi a protestare per il ritardato allarme, visto che quel giorno nelle loro zone di competenza non era stata emessa nessuna allerta meteo (gialla solo nell’entroterra montano) e dalla Protezione civile regionale l’allarme scattò solo intorno alle 22, troppo tardi per mettere in salvo i cittadini.


I piani comunali


Ma anche loro, secondo le conclusioni dell’indagine dei Carabinieri forestali ora riversate negli inviti a comparire del pm Picuti, avrebbero delle responsabilità nella mancata messa in sicurezza dei cittadini, molti dei quali mentre Misa e Nevola si gonfiavano continuarono a transitare su ponti una spanna sopra i fiumi e a scendere nei garage per salvare le auto. Le omissioni dei sindaci? La Procura ne ipotizza diverse (non contemporaneamente a carico di tutti i sei primi cittadini): il mancato aggiornamento del flusso di informazioni al prefetto, al presidente della Giunta regionale e alla Soup della Protezione civile e alla popolazione; l’omesso aggiornamento del piano comunale di protezione civile; il mancato presidio idrogeologico con il monitoraggio dei punti critici; la mancata informazione dei cittadini sui rischi idrogeologici.
Anche il comandante dei vigili del fuoco di Ancona Patrizietti (e con lui il funzionario di turno quella sera in sala operativa, Mauro Bedini) vengono chiamati in causa per aver violato una direttiva della presidenza del consiglio dei ministri del 2008 che impone di garantire «l’immediato e continuo reciproco scambio di informazioni», limitandosi invece alle segnalazioni «alle proprie strutture di appartenenza».

Le presunte omissioni

Più articolate le presunte omissioni addebitate dal pm Picuti ai sei indagati che fanno parte della struttura regionale di Protezione civile delle Marche, dall’attuale responsabile Stefano Stefoni, in carica dal primo gennaio 2022, al suo predecessore David Piccinini, passando per il responsabile del Centro funzionale Multirischio Paolo Sandroni, l’allora direttore della Centrale unica di risposta 112 di Ancona Maurizio Ferretti, fino all’operatore di turno quella sera nella Sala operativa unificata permanente della Protezione civile, Roberto Cecchini, e al funzionario reperibile, Pierpaolo Tiberi. Si contestano inosservanze di direttive e delibere, anche di giunta regionale, sul flusso informativo continuo e (per Tiberi) anche l’omessa verifica sui piani di protezione civile comunali nella Valmisa, mentre a Stefoni e Piccinini la Procura addebita il mancato adeguamento delle procedure di allertamento regionale alle direttive e agli indirizzi del Dipartimento di protezione civile nazionale in materia di prevenzione del rischio idrogeologico e idraulico. 


Le criticità per temporali


In particolare, per la Procura, Stefoni e Piccinini «omettevano di individuare, relativamente alle criticità idrogeologiche per temporali, una procedura di allertamento non previsionale basata sulle soglie idrometriche e pluviometriche, idonee ad attivare tutte le componenti comunali di Protezione civile del bacino del Misa». Mancava anche «un idrometro significativo» in grado di allertare in tempo utile tutta la vallata. L’obbligo di segnalazione dalla Sala Soup scattava solo al superamento dei livelli nell’idrometro di Bettolelle, alle porte di Senigallia, 20-30 km più a valle rispetto ai primi centri investiti dalle piene già alle 8 di sera. 

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