Il ristoratore Marco Guzzini: «Il volley da sempre è stata la mia casa»

Il risoratore Marco Guzzini: «Il volley da sempre è stata la mia casa»
Il risoratore Marco Guzzini: «Il volley da sempre è stata la mia casa»
di Valentina Berdozzi
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Domenica 21 Aprile 2024, 04:30 - Ultimo aggiornamento: 16:04

Se la vendetta è un piatto che va servito freddo, quello della memoria, invece, è una preparazione che scalda il cuore, come quelle che rallegravano le cene che, da piccolo, mamma Sabina amava allestire per amici e parenti e i suoi dolci che, in forno, diventavano una delizia. Gli ingredienti che lo compongono possono essere i più vari, ma di base bastano un pizzico di affetto, una spolverata di nostalgia, ricordi vividi e momenti sopiti nella memoria che però, in un attimo, tornano a galla e formano quella crosticina che al piatto della memoria conferisce un gusto unico e colora la voce di Marco Guzzini, ristoratore maceratese a capo della banda del DiGusto Italiano, in un arcobaleno di sensazioni.

I ricordi

Davanti a un manicaretto così, nessuna falsità regge: rimane solo la verità di un affermato ristoratore che, al mondo in cui naviga di oggi, s'è avvicinato in punta di piedi, con rispetto e timore quasi reverenziale, esattamente come aveva fatto da bambino con la pallavolo, lo sport di una vita, «quello che in casa, figlio di un ex giocatore della squadra universitaria, si respirava ovunque e che mi ha accompagnato dalla fine delle elementari fino alle superiori, per un bella fetta di vita - sorride Marco - la pallavolo è stata la mia infanzia e la mia giovinezza.

Un incontro potente con uno sport che mi ha dato tanto e insegnato molto. Uno sport che sento ancora come casa: per i trascorsi di mio padre; per il fatto di aver abitato, ai tempi dell'appartamento nel quartiere Collevario, di fronte all'impianto sportivo dove la pallavolo è stata prima svago con gli amici e poi impegno vero; per il fatto di averne respirato profondamente la passione anche dopo il trasferimento a Villa Potenza; per esserci cresciuto dentro e aver vissuto, anche attraverso quella parentesi, la costruzione della persona che sono adesso». Nella carta d'identità di oggi, l'eredità di quello che si è stati pesa non poco e nel ritratto del ristoratore dinamico e brillante dei suoi 37 anni, pulsa il bambino che è stato ieri, quello che all'uomo di oggi strappa più di un sorriso. «Nei primissimi anni di vita ero un tipo davvero molto aperto - dice - vivace, attivo, ero uno che si faceva sentire, anche quando giocavamo a calcio con gli amici di Collevario nel cortile sotto al condominio. Per non parlare di quando ci incontravamo con i miei cugini: ricorda mamma Sabina che io ero quello che voleva sempre l'ultima parola. Non avevo paura né freni di alcun genere: se mi piaceva qualcosa, partivo senza esitazioni e andavo, come la volta in cui, a spasso con i miei lungo corso Vittorio, in un attimo di distrazione di mia madre presa a guardare le vetrine dei negozi, stanco di aspettarla mi sono allontanato continuando la passeggiata per conto mio. Mi hanno riportato indietro le forze dell'ordine, consegnandomi a mia madre che mi riabbracciò con il cuore in gola». Un momento di pausa a riprendere il fiato e Marco poi riparte: «Crescendo, sono diventato più timido, più introverso. Non che abbia perso lo slancio che mi contraddistingueva da bambino, ma alla realtà mi approcciavo in modo diverso: con più calma, con più riflessione, ma sempre con tanto cuore». La passione che lo anima pulsa totalmente, riflessa nel percorso che lo ha portato al mondo di oggi. «Tutto è partito appena diplomato, quando non sapevo bene che piega dare al mio futuro - spiega - non sentivo il percorso universitario cucito addosso a me e così, ho tirato il freno e ho fatto qualche lavoretto. Provvidenziale è stato l'impiego in un centro per abbronzatura: è stata una piccola parentesi, che però mi ha insegnato tanto in quanto a passione per il lavoro, preparazione, competenza e un'attenzione radicale al cliente e a ogni dettaglio della sua esperienza. In quella parentesi ho conosciuto i proprietari dell'allora caffè Venanzetti, che mi hanno tirato dentro al locale come organizzatore di eventi».

La passione

«Di serata in serata, mi sono appassionato a quel bar storico di Macerata, tanto da dedicargli una lettera aperta, appena eletto consigliere comunale, per scongiurarne la chiusura. Mi sono rimboccato le maniche e ho deciso di prenderlo in gestione. L'anno dopo è arrivato DiGusto Italiano, nato dalle ceneri di un'altra attività storica della mia città, l'ex bar Pompei. Spalleggiato dalla mia famiglia, al mio fianco in questa avventura lavorativa, ho fatto della ristorazione la mia quotidianità e, soprattutto, la mia sfida continua».

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