La badessa suor Stefania Costarelli: «Le marachelle? Tante, ma confessavo sempre»

La badessa suor Stefania Costarelli: «Le marachelle? Tante, ma confessavo sempre»
La badessa suor Stefania Costarelli: «Le marachelle? Tante, ma confessavo sempre»
di Valentina Berdozzi
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Domenica 14 Aprile 2024, 04:30 - Ultimo aggiornamento: 12:32

Ci sono poche cose, come la verità, che sanno celarsi. E pochissime altre che sanno manifestarsi con tanta sorpresa, tra spaesamento e meraviglia, tra vecchie inquadrature e angolazioni nuove. Perché guardare alla chioma di un albero è semplice, ma guardarla pensando alle radici nascoste sotto la terra è tutta un'altra cosa. E se gli occhi parlano di suor Stefania Costarelli come la madre badessa del convento di Santa Caterina D'Alessandria a Monte San Martino, le radici invece la raccontano come una bambina cresciuta nell'amore di una famiglia a cui è sempre stata legatissima, passata attraverso una fede incrollabile, tante domande, non poche sofferenze e l'infanzia da bimba «vivace, anche se mai disubbidiente - ci tiene subito a precisare - una che si sbrigava a finire i compiti per poter uscire e giocare a palla o a ping pong con gli amici dell'oratorio. Una che di marachelle, da piccola, ne ha combinate, ma tutte candidamente confessate» ride timidamente.

I ricordi

Il tono dolce della voce si illumina con gli sprazzi colorati che le donano quei ricordi di una vita lontana eppure presentissima, perché anche oggi, come allora, a stare ferma Suor Stefania proprio non riesce: «Stare con le mani in mano non mi è mai piaciuto - rivela - e ho sempre adorato sentirmi libera, indipendente.

Da piccola, appena potevo, scappavo al fiume Musone, nella frazione di Osimo dove sono cresciuta. Mia mamma e mia nonna non volevano e non si sa quante volte hanno mandato mio padre a riprendermi per riportarmi a casa. Sognavo di essere come mio cugino più grande, indossare i calzoncini e correre spensierata come lui. Come quando, non avendo una bicicletta mia, prendevo di nascosto quella di mio padre e mi lanciavo senza paura giù per la discesa, facendo a gara con gli altri bimbi. Più e più volte sono finita a terra sbucciandomi le ginocchia, ma che meraviglia quando, con caparbietà e tanto orgoglio, ho imparato a pedalare da sola. La testardaggine non mi è mai mancata, come non mi sono mai mancati amici chiassosi e pomeriggi di puro divertimento all'oratorio della mia parrocchia con padre Valentino Lanfranchi, tra le gite al santuario dell'Ambro, le storie che ci raccontava e la merenda condivisa con chi aveva più bisogno». Un'infanzia felice, ricorda suor Stefania, anche se non sempre facile. I ricordi corrono a un momento preciso, quando Stefania era una bambina di sei anni: «Il dentista mi tolse un premolare, non rendendosi conto di un pericolo ascesso che, di lì a poco, raggiunse l'osso della mandibola scatenandomi una pericolosissima ostiomelite. Passai diverso tempo al Salesi, tra dolori fortissimi e ricoveri continui. Fu un'esperienza che porto ancora con me: circondata dall'affetto della mia famiglia, grazie a mia mamma Anita e alla sua amorevole vicinanza capii il valore del perdono, spegnendo ogni forma di rancore verso quel dentista e il suo errore». Suor Stefania è come il suo cuore: un vulcano di energia e amore, di ricerca e inquietudine. Si affaccia così, con tante domande in testa, alla sua adolescenza, in un '68 che demonizzava la Chiesa. «Furono anni di profonde domande, in cui cercai di mettere a fuoco chi fossi - spiega -. Dopo le medie mi iscrissi a ragioneria, ma al terzo anno entrai in crisi: non volevo passare la vita a fare la contabile, nonostante l'insistenza di mia madre che vedeva nel lavoro d'ufficio la soluzione migliore per la vita da moglie e madre che aveva tracciato per me».

Gli studi

«Dopo un piccolo stop ripresi gli studi e, recuperando rapidamente terreno, mi diplomai in tempo, scartando però definitivamente l'idea di un matrimonio. Quella vita non faceva assolutamente per me, mentre cresceva la spinta verso il prossimo, quel desiderio di fare del bene, di donare me stessa per la felicità altrui, che non potevo più ignorare. Mi solleticò anche l'idea di partire missionaria per qualche remoto paese dell'Africa, ma anche questo era un vicolo cieco, che si illuminò quando, per caso, approdai al convento delle benedettine di Monte San Martino e mi confrontai con l'allora madre badessa. Capii in quell'istante che con la preghiera avrei potuto raggiungere ogni angolo della terra e così, il giorno del mio 25esimo compleanno, iniziò la mia nuova vita. Fu una decisione non facile, che anche la mia famiglia impiegò un po' di tempo a elaborare, ma era l'unica via possibile per quel mio cuore desideroso di donare amore».

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