«Io, Vialli e le Marche per sempre». Il bomber Mauro Bertarelli, lampi di Serie A: «Ora guido i giovani. E mi diverto»

«Io, Vialli e le Marche per sempre». Il bomber Mauro Bertarelli, lampi di Serie A: «Ora guido i giovani. E mi diverto»
«Io, Vialli e le Marche per sempre». Il bomber Mauro Bertarelli, lampi di Serie A: «Ora guido i giovani. E mi diverto»
di Peppe Gallozzi
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Sabato 2 Dicembre 2023, 08:02 - Ultimo aggiornamento: 14:16

Una vita all’attacco, da rapace dell’area di rigore. Mauro Bertarelli, con la palla al piede, ha fatto gioire tante persone. Aretino trapiantato a Jesi, è esploso con la maglia dell’Ancona: sembrava destinato ai più nobili palcoscenici. La Juventus lo scelse nel 1992. 

Bertarelli, 31 anni dopo, ci può raccontare che successe?
«Fu una scelta strana, particolare».

In che senso?
«Nel senso che firmai con la Juventus ma solo per essere girato (insieme ai compagni Corini, Serena e Zanini, ndr) alla Sampdoria nella maxi-operazione che portò Gianluca Vialli in bianconero. L’Ancona gestì bene quella trattativa, incassando quasi nove miliardi di vecchie lire. E ricordo che non mancarono delle voci maligne».

 
A cosa si sta riferendo? 
«Nell’ultimo periodo del campionato ‘91-‘92, quello che ci portò per la prima volta in Serie A, ero fermo per un mal di schiena. Qualcuno insinuò che fosse un infortunio “precauzionale” per non perdere la chiamata della Samp: ovviamente era tutto falso».

Con Vialli ironia della sorte, tuttavia, non si incrociò.
«Mai».

Oggi chi è Mauro Bertarelli?
«Il responsabile del settore giovanile del Loreto. Lavorare con i ragazzi è appagante, impegnativo ma pieno di soddisfazioni».

Andiamo sugli aneddoti. Come viveva da giovane calciatore di Serie A?
«Stavo con i coetanei, facevamo gruppo tra noi».

Avrete avuto dei passatempi
«Sembravamo un po’ universitari. Ci riunivamo in una casa, mangiavamo insieme. Spesso finiva tutto lì».

Quando invece eravate in libera uscita, ad esempio nel periodo di Ancona, quale era il quartier generale?
«Strabacco, l’Osteria Teatro di via Oberdan»

Niente discoteche, quindi.
«No, qualcosa c’era.

I calciatori si divertivano la domenica sera, visto che si giocava al pomeriggio e il lunedì era tendenzialmente libero».

Dove vi esibivate?
«Al Green Leaves, quante serate».

Lei ha giocato anche a Rimini, Genova, Empoli e Ravenna. Ma ha scelto di rimanere nelle Marche e vivere ad Ancona. Perchè?
«Per tanti motivi. Mi sono trasferito a Jesi, da Arezzo, quando avevo appena 9 anni nel 1979. A 16 anni mi sono spostato ad Ancona, l’ex moglie è di Civitanova, i miei tre figli sono marchigiani e oggi vivo nel capoluogo. Le Marche sono sempre state nel mio destino».

Appena arrivato all’ombra del Conero viveva da solo.
«Sì, al vecchio Hotel Jolly da quando avevo 16 anni».

Jesi vuol dire anche Roberto Mancini.
«Abbiamo giocato insieme anche nella Sampdoria».

In che rapporti eravate?
«Solo sportivi».

Il più forte giocatore con cui ha giocato?
«Ne cito due, Ruud Gullit e Pietro Vierchwood».

Tra gli allenatori chi ha lasciato il segno sul Bertarelli calciatore?
«Qui è facile, Luciano Spalletti attuale Ct della Nazionale».

Ci sarà un episodio che vi lega.
«Si, ai tempi di Empoli. Luciano allenava tanti giovani, con me e Cappellini che eravamo quelli più esperti».

E quindi?
«Stava per trasferirsi alla Sampdoria e mi chiese consiglio. Gli dissi che avrebbe trovato un gruppo di campioni e che doveva cambiare l’approccio. Lui, in quel momento, non era convinto e non cambiò metodologia. Le cose andarono male, come a malincuore gli pronosticai».

Fu quello l’episodio che lo fece crescere?
«Penso che quella fu una lezione importante. Da allora, nel rapporto con i giocatori, è impeccabile fidandosi come pochi. Oggi è il numero uno dei tecnici italiani. Per distacco». 

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