L'avvocata e assessora Michela Romagnoli: «Per giocare ancora svegliavo mia madre»

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di Valentina Berdozzi
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Domenica 7 Aprile 2024, 04:00 - Ultimo aggiornamento: 13:14

SANT'ELPIDIO A MARE - Tra le pagine della vita e quelle del diario, la distanza è poca. Nulla a che vedere con la lontananza siderale tra realtà e finzione: nelle parole affidate al confidente di carta, la vita e il cuore pulsano assieme alle pagine vergate a mano, con la grafia che si fa portavoce delle emozioni e le righe che le accolgono come oro. In quel piccolo mondo scorre un fiume potente che sa di passione e tenerezza, che ammanta di dolcezza e nostalgia: un uragano di bellezza che si riflette nei racconti che il diario contiene così come nelle greche, nelle cornici, negli schizzi e nei decori che lo adornano, perché nella vita di una bambina che si fa donna nulla brilla di più di un diario segreto che la racconta nelle sue passioni.

Il mix

In questa miscela esplosiva di dolcezza e ricordi, l'avvocata Michela Romagnoli sorride a quel diario che la riporta indietro agli anni meravigliosi «di un'infanzia bella e genuina, fatta di tanti momenti che scaldano il cuore al solo tornare in mente».

Nell'andirivieni della memoria tornano a galla anche le immagini di un amore per il disegno, per la precisione e le decorazioni che è eredità e, al contempo, farina del proprio sacco. Parla di passione Michela: «Da piccola, adoravo come poche cose al mondo giocare con i carboncini e la sanguigna, sedermi e disegnare, dipingere con tempere e china, lasciando tracce su fogli volanti ma anche sulle pagine del mio diario e dei miei quaderni di scuola, che conservavo con una cura maniacale - comincia -: la mia specialità erano le nature morte, i fiori e le riproduzioni di statue greche: ricordo le domeniche pomeriggio passate in casa a disegnare e quel presepe davanti al quale zia Adelaide, detta zia Dely, rimase esterrefatta: al solo vederlo si commosse, colpita dagli occhi della Madonna che, secondo lei, parlavano. Anche il mio insegnante di disegno tecnico al Liceo scientifico, il professor Valeri, comprese e appoggiò sempre questa mia passione, che condividevo con mio padre Tullio, decoratore di interni e grande esperto nell'uso di tempere a olio, e con mamma Marta, donna dolcissima dal cuore grande e dalle mani d'oro». Poche, semplici pennellate e il ritratto della bambina che è stata torna a rivivere attraverso le parole, i gesti, i ricordi di mani febbrili che si muovono indaffarate e di cuori che battono all'unisono. C'è quello immenso, enorme, di mamma Marta, «una donna straordinaria, sempre presente e pronta a coccolarmi con le storie che amava raccontarmi la sera prima di andare a letto o con quelle torte di compleanno deliziose e meravigliosamente adornate, perché l'amore per i decori a casa nostra è sempre stata una questione di famiglia». E poi c'è quello, altrettanto profondo e immenso, di nonna Marina: «La mamma di mia madre, una donna in anticipo sui tempi, di grande tempra e dal carattere di ferro. C'è sempre stata per me e a lei confidavo i miei amori, le mie passioni e i miei sogni, ricambiando le storie che amava raccontarmi da bambina e che parlavano del mondo austroungarico da cui proveniva». Parole e disegni compongo cosi la cornice dentro cui si muove la bimba che Michela è stata. Il ritratto è tutt'altro che statico: «Da piccola ero una vera peperina, una bambina no stop - ride - non stavo mai ferma e avevo sempre qualcosa in mente. La parte più tragica della giornata era quella della nanna, che fosse il riposino pomeridiano o la messa a letto serale. Più e più volte, cadendo mia madre tra le braccia di Morfeo sfinita dall'estenuante tentativo di far capitolare anche me, le ho alzato le palpebre per svegliarla e continuare a giocare e stare insieme indipendentemente dall'ora che si era fatta».

Le sere

«Per non parlare, poi, della buonanotte che ogni sera, a tre o quattro anni, davo a Roberto, il bimbo che abitava nella casa vicino alla mia. Non so neanche più come, ma un giorno capimmo che le nostre stanze da letto erano confinanti e che, attraverso una porzione della parete un po' più sottile, potevamo parlare. Quel sistema era una dolce abitudine ma, anche, una risorsa per proporre e organizzare sessioni di gioco insieme: le nostre case si affacciavano sulla passeggiata che conduceva al Torrione e allo spiazzo antistante, il terreno di pomeriggi di gioco meravigliosi dai tempi del triciclo in poi».

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