Rivalutare il lavoro manuale, una svolta per l’occupazione

Rivalutare il lavoro manuale, una svolta per l’occupazione

di Lolita Falconi
3 Minuti di Lettura
Sabato 8 Luglio 2023, 01:00

Più posti di lavoro disponibili che lavoratori pronti ad occuparli. La situazione in cui versa il settore della ristorazione, specie quella stagionale, è piuttosto preoccupante. Ne parliamo sui giornali da anni anche se il tempo non ha curato la ferita, anzi. Tutto sembra peggiorare. Nonostante le scuole alberghiere, tutte ottime quelle marchigiane, sfornino ogni anno decine di diplomati ben preparati pronti ad entrare nel mercato del lavoro tra cucine, sale e bar, il fabbisogno non viene colmato. E anche in questa estate 2023, come già era accaduto nelle stagioni del Covid, il grido d’allarme degli operatori è più forte che mai.

L’ultima occasione in cui se ne è parlato è stato un incontro della Confartigianato di Macerata-Fermo-Ascoli che si è tenuto a Villa Fornari di Camerino. Un incontro per fare il punto sulla situazione del settore ristorazione che si è trasformato in un’occasione per far emergere ancora una volta il problema dei problemi: quello del personale. E deve essere proprio vero se capita, sempre più spesso, non credo solo a me, di ascoltare racconti di amici e conoscenti che riferiscono di essere andati al ristorante e di aver trascorso qualche ora tutt’altro che serena tra ritardi ingiustificabili, attese interminabili, servizio scadente. D’altronde già è difficile trovare personale qualificato per tutto l’anno. Figuriamoci per le attività stagionali. Per molti ristoratori è diventato un incubo coprire i turni per pranzi e cene sette giorni su sette, specie a luglio e agosto, specie nei sabato e domenica. La carenza di personale stagionale incide sulla operatività delle aziende, soprattutto l’allarme rosso è scattato per il personale di sala. Per i camerieri. Una figura che in passato è stata presa meno in considerazione ma che in realtà ha un ruolo essenziale nell’attività di ristorazione: sono loro il tramite tra cucina e cliente e si occupano dell’accoglienza di quest’ultimo.

Parte della riuscita di un servizio è sicuramente merito loro.

Purtroppo, le scuole non riescono a coprire l’intero fabbisogno delle strutture ricettive e sempre meno giovani si rivolgono a questo lavoro come fonte di reddito, anche solo per il periodo di studi. Sembra passato un secolo da quando invece, andare a “servire” (questo era il termine in voga per dire che si andava a fare i camerieri) al ristorante, nei festivi o d’estate, era uno dei lavori più ricercati e ambiti fin dalla fine delle scuole medie. A quattordici anni già si poteva provare. Si imparava sul campo, spesso senza troppe pretese economiche. Oggi invece queste ultime, forse anche giustamente, per carità, sono aumentate. Il mondo è cambiato, le esigenze sono diverse. Nessuno lavora per due spicci, neppure se alle prime armi. Tanti non sono disposti a sacrificarsi nei weekend. Fino al compimento dei sedici anni nessuno si può avvicinare al lavoro.

Ma torniamo ai camerieri che non si trovano. Come si fa? Bisogna pagarli di più, dicono in molti. Forse questo potrebbe rendere il lavoro più attrattivo. Ma siamo sicuri che coprendolo d’oro aumenteremo qualità e quantità del personale? Non ne sono così convinta. Secondo me bisogna prima di tutto cambiare paradigma, serve una svolta culturale. Bisogna tornare a valorizzare il lavoro manuale. Smetterla di pensare che è meglio (e più redditizio) quello intellettuale. Diego Della Valle qualche giorno fa, ha invitato i giovani ad avvicinarsi al mondo dell’artigianato. «È cool», ha detto loro. Servirebbero tanti altri testimonial così.
 

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