Quando finisce una pandemia? A questa domanda aveva cercato risposte, con un servizio di copertina nel numero in edicola a marzo, l’edizione italiana di Scientific American, per concludere che l’uscita dall’era Covid sarebbe stata determinata non tanto dalla scomparsa dei casi di positività, quanto dalla fine della percezione dell’emergenza nelle popolazioni e nelle istituzioni. Tutti noi abbiamo tagliato questa linea immaginaria della cessata pandemia in ordine sparso, in base alle nostre abitudini e insofferenze, alla personale capacità di gestire con fretta o con prudenza la fuoriuscita da quel mondo nuovo durato tre anni, fatto di lockdown e mascherine, distanziamenti fisici e sociali. Molti hanno varcato quella porta girevole del post-Covid ben prima che l’Organizzazione mondiale della Sanità - il 5 maggio scorso, in un rassicurante contrappasso del mortal sospiro manzoniano - dichiarasse cessata la fine dell’emergenza sanitaria da Covid-19, che ha fatto circa 20 milioni di vittime in tutto il mondo. Basta vedere i dati sulle vaccinazioni, in brusca frenata già da fine inverno, per capire che la percezione del pericolo di una polmonite virale - che ci aveva messo tutti in fila per un’iniezione davanti ai gazebo dell’Italia che rinasce con un fiore - è ormai evaporata da almeno tre mesi.
Appena un marchigiano ogni quattro, per restare alla nostra regione, si è fatto iniettare la quarta dose del siero anti-Covid, completando l’intero ciclo di immunizzazione, mentre decine di migliaia di dosi di vaccino, stoccate nei frigoriferi dell’hub all’Inrca, stanno letteralmente andando al macero, inesorabilmente avviate alla termodistruzione man mano che i vari lotti arrivano alla loro scadenza, come tutti i farmaci. Nel frattempo il patogeno Sars-Cov-2, con le sue infinite varianti, ormai circola sottotraccia, entrato in una fase endemica se non addirittura carsica: nell’ultimo monitoraggio settimanale dell’Osservatorio epidemiologico della Regione Marche i nuovi casi di positività registrati tra il 9 e il 15 giugno sono stati 142 (20 al giorno) su poco più di 1.100 tamponi.
Ma c’è ancora qualcosa di irrisolto, in questo processo di rimozione, e riguarda soprattutto la generazione Dad, i nostri ragazzi che nel marzo 2020 hanno visto improvvisamente trasformarsi le loro aule di scuola nello schermo di un computer diviso in quadratini, dentro ognuno un compagno di classe o il prof. Molti di loro - più di 13mila nelle Marche - domani affronteranno l’esame di maturità e sarà la prima volta, dopo tre anni, che si farà sostanzialmente con regole e procedure in vigore prima del Covid. L’esame di Stato, per tre anni scolastici, era entrato in una bolla fatta di mascherine e niente prove scritte, per non stare troppo appiccicati. Quella di oggi, per gli studenti del quinto anno, tornerà a essere una notte prima degli esami come tante altre. Domani li vedremo sorridere, si spera, all’uscita delle loro scuole, senza quelle mascherine (l’anno scorso erano ancora raccomandate) che gli ha tolto a lungo, durante i tre anni della pandemia, anche il piacere di una risata. Sono loro l’Italia che rinasce, con o senza un fiore, prendendo un testimone ideale da quella dei loro nonni e bisnonni: la generazione che ha saputo ricostruire il nostro Paese dopo la guerra ed è stata la più colpita, nelle fasi più buie addirittura decimata, dall’emergenza Covid.