Montemarciano, condannato il compagno violento: «Botte continue, mi voleva morta»

Montemarciano, condannato il compagno violento: «Botte continue, mi voleva morta»
Montemarciano, condannato il compagno violento: «Botte continue, mi voleva morta»
di Stefano Rispoli
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Venerdì 13 Ottobre 2023, 03:00 - Ultimo aggiornamento: 13:00

MONTEMARCIANO «Mi vuole uccidere, vuole farmi diventare matta». Così aveva confidato ai carabinieri il giorno in cui è stata soccorsa in casa, dopo essere stata picchiata dal compagno. Ad allertare il 112 era stato il proprietario dell’appartamento, a cui lei aveva chiesto aiuto, in lacrime. 


L’aggressione 

Quando i militari sono intervenuti nell’abitazione di Montemarciano in cui i due nigeriani vivevano insieme a due bambini, lui se n’era già andato.

La colf 40enne aveva segni sul volto: portata all’ospedale, era stata dimessa con 7 giorni di prognosi. C’erano mobili rovesciati, una porta rotta. «Abbiamo avuto un litigio, ma quando sono uscito era tutto in ordine e lei non era ferita», ha spiegato nel corso del processo il 48enne. Assistito dall’avvocato Marusca Rossetti, ha negato di aver mai usato violenza nei confronti della compagna, da cui ha avuto un figlio che non ha voluto riconoscere. Ma il collegio penale, presieduto dal giudice Francesca Grassi, ieri l’ha condannato per maltrattamenti e lesioni aggravate a 2 anni e un mese di reclusione (il pm Ruggiero Dicuonzo aveva chiesto 4 anni) e ad un risarcimento, in via equitativa, di 6mila euro a favore della parte offesa, assistita dall’avvocato Elisabetta Nicolini. In aula la donna ha raccontato ai giudici di aver subito quattro aggressioni più gravi dall’ex compagno. «Ma mi maltrattava una volta al mese», ha aggiunto, pur non avendo mai trovato il coraggio di denunciarlo, anche per paura che le venissero sottratti i due figli, la più grande nata da una precedente relazione. L’apice delle violenze si è toccato il 18 agosto 2019 quando la donna sarebbe stata malmenata dal 48enne che, nella colluttazione, avrebbe perso il passaporto, poi ritrovato sporco di sangue sul pavimento di casa. Due giorni dopo, l’operaio si presentò alla caserma dei carabinieri di Montemarciano per chiedere che gli venisse restituito il documento e in quell’occasione avrebbe manifestato il suo pentimento per l’aggressione, almeno così ha riferito ai giudici il brigadiere con cui si rapportò quel giorno. 

I racconti 

Ad indirizzare il giudizio di condanna del collegio penale sono stati i racconti della vittima, che ha parlato di una storia da sempre difficile e piena di sofferenze, sin dai tempi della seconda gravidanza, quando il compagno (che non ha riconosciuto il bambino) non l’avrebbe assistita nonostante i problemi di salute. «Non lavorava, in casa non faceva nulla», ha raccontato la donna. Per l’imputato, invece, era lei a riprenderlo di continuo, come una goccia cinese, tant’è che per 4 volte l’avrebbe cacciato di casa, per poi riaccoglierlo sempre. I litigi continui sono stati confermati dalla figlia della donna davanti al tribunale dei minori: quando le discussioni diventavano pesanti, ha riferito la ragazzina, lei si chiudeva in camera con il fratellino per proteggerlo e non farlo assistere alle violenze. 

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