Prigione e Jihad, in fuga a 9 anni: «Papà, ce l’ho fatta: sono in Italia». La storia da Ancona

Originario del Mali, è uno dei 336 migranti sbarcati lunedì sera dalla Ocean Viking

Prigione e Jihad, in fuga a 9 anni: «Papà, ce l’ho fatta: sono in Italia». La storia da Ancona
Prigione e Jihad, in fuga a 9 anni: «Papà, ce l’ho fatta: sono in Italia». La storia da Ancona
di Federica Serfilippi
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 20 Marzo 2024, 03:55 - Ultimo aggiornamento: 17:09

ANCONA Aiutato da un traduttore, ha chiesto ai volontari del centro d’accoglienza un cellulare. Ricordava il numero del papà, rimasto in Mali e che non sentiva da almeno quattro mesi, da quando gli jihaidisti avevano attaccato il loro villaggio, dividendo destini e vite. Il vuoto degli squilli, poi la risposta. E quella vocina dall’altra parte del mondo: «Papà, sono io. Sono qua». «Ma qua dove?». «Sono in Europa». «Ma come in Europa, ma non è possibile, come hai fatto?». La risposta più dolce: «Sono partito, scusa se non te l’ho detto ma non volevo farti preoccupare».


Le ferite

La gioia dopo il dolore del viaggio-odissea è quella di un bimbo di 9 anni originario del Mali, uno dei 336 migranti sbarcati lunedì sera dalla Ocean Viking, nave della Ong Sos Mediterranee.

Il piccolo è stato accolto a braccia aperte dagli operatori della Ceis, onlus anconetana che si occupa della tutela dell'infanzia e dell’adolescenza. Il bimbo ha una frattura al piede, probabilmente conseguenza delle botte rimediate in uno dei tanti centri di detenzione che si trovano in Libia. «È stato picchiato» ha riferito un altro migrante soccorso dalla Ocean Viking, un ragazzo africano che per tutto il viaggio ha cercato di proteggere il piccolo. «Dalla nave sono scesi insieme - racconta Alessandro Maria Fucili, direttore Ceis - e quando si sono salutati erano commossi». Due fratelli acquisiti, uniti dalla speranza e dalla disperazione. Agli operatori del centro di accoglienza, il bimbo maliano ha raccontato del suo viaggio, non tanto differente dall’epopea dei due protagonisti del film Io Capitano di Matteo Garrone. Dopo la divisione forzata dal papà, il bimbo sarebbe riuscito ad arrivare in Libia. Un po’ camminando, un po’ con mezzi di fortuna. Sono circa 3mila chilometri. In Libia avrebbe trovato il destino di tanti migranti: le torture di un centro di detenzione. Ci sarebbe stato per un paio di mesi. A proteggerlo è stato un gruppo composto da altri migranti. Lui, piccolino, si è difeso in mezzo alle barbarie come ha potuto. E con quel gruppo, alla fine, si è imbarcato dalle coste libiche. Il resto è storia: il soccorso in mezzo al Mediterraneo della Ocean Viking e l’arrivo al porto di Ancona. Ora gli verrà affidato un tutore. La permanenza nella onlus è solo temporanea. Nonostante la paura vissuta, nelle sue prime ore in Italia non ha mai perso il sorriso. Ceis ha lanciato un appello perché servono vestiti, nuovi o in buonissimo stato, per il nuovo ospite. Già ieri le prime, vere, risposte d’accoglienza. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA