L’ultimo progetto di Gianluca Vialli, il documentario La bella stagione, andrà in onda domani in prima serata su Rai 2 per ricordare la figura del grande calciatore e la sua avventura sportiva con la Sampdoria di Vujadin Boskov. Presentato allo scorso festival del cinema di Torino e uscito in sala a fine novembre, il film è stato co-sceneggiato dallo stesso Vialli, girato da Marco Ponti e prodotto dalla Groenlandia di Matteo Rovere.
La bella stagione, il documentario su Vialli-Mancini
«Vialli ci ha insegnato tanto, è stato una figura di grande carisma, un leader aggregatore con una forte visione – lo ha ricordato Rovere - La Sampdoria di Vialli e Mancini vinse lo scudetto grazie a valori che oggi sono estranei allo star system dello sport: l’amicizia, la scaltrezza e la generosità di quei giocatori e di quel gruppo». Il film era nato da un’idea dello stesso Vialli, che, dopo aver contribuito a un libro sull’anniversario dello scudetto della Samp del 1991, curato da Pierdomenico Baccalario, «si rese conto che quella storia conteneva tanti ingredienti, e che sarebbe stata perfetta per un film», racconta Ponti. «Non ci siamo mai detti che potesse essere un testamento, anzi non è mai stato nemmeno un argomento. E questo rende chiara la statura del personaggio. Vialli non è mai stato egoriferito, non ha mai detto: “facciamolo perché sono io”, ma perché “è una grande storia”. Da vero narratore ha capito che quel racconto poteva essere importante per tanta gente, non solo per chi affronta la malattia o la precarietà, ma anche per le persone che oggi cercano nel mondo e nello sport certi valori».
La presentazione
Pur provato dalla malattia, a novembre Vialli aveva insistito per accompagnare il film a Torino, incontrando pubblico e stampa: «Vialli ha fortemente voluto il documentario, ci teneva a smentire le leggende su Genova che indebolisce i giocatori – dice Rovere - Per lui il sole della Liguria non era una distrazione ma un vantaggio, perché il mare, diceva, ti dà la sensazione di un orizzonte raggiungibile. È stato insieme a noi per tutto il lancio del film, e nonostante le forze fossero poche ha creduto nel lavoro e nel messaggio che il documentario poteva lasciare alle giovani generazioni.
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