“Pupo di zucchero” a Fano. Il protagonista Maringola: «Che magia proporre questo racconto nella notte in cui è ambientato»

“Pupo di zucchero” a Fano. Il protagonista Maringola: «Che magia proporre questo racconto nella notte in cui è ambientato»
“Pupo di zucchero” a Fano. Il protagonista Maringola: «Che magia proporre questo racconto nella notte in cui è ambientato»
di Elisabetta Marsigli
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Martedì 1 Novembre 2022, 03:40

L’anteprima della stagione del Teatro della Fortuna di Fano è con “Pupo di zucchero (La festa dei morti)”, spettacolo fuori abbonamento dell’affermata autrice e regista siciliana Emma Dante, proposto questa sera, ore 21, in esclusiva regionale (Informazioni e biglietti tel. 0721.830742). La curiosità è data dal fatto che, liberamente tratto da “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile, “Pupo di zucchero” è ambientato proprio nella notte tra l’uno e il due novembre: una coincidenza magica, come dice il protagonista Carmine Maringola. 
Come nasce Pupo di Zucchero e come mai proprio questo racconto di Basile?
«A Fano sarà davvero magico proporre questo racconto, nella notte stessa in cui è ambientato, ma non è la prima volta che la nostra compagnia approccia il testo di Basile: nel caso de “La scortecata”, avevamo letto in maniera abbastanza fedele il racconto. Qui il percorso è stato diverso: siamo partiti da Pentamerone, dove una donna che non riesce a scegliere un uomo adatto a lei, decide di farselo con un impasto di farina e mandorle. Questa favola prende poi un altro percorso, ma Emma ha colto l’occasione per collegare il tutto al rituale palermitano del pupo di zucchero, dolce antropomorfo che viene preparato e lasciato in omaggio ai defunti che, nella notte tra l’uno e il due novembre, visitano la casa e lasciano regali ai bambini».
Come per rinnovare una tradizione perduta?
«Non esisteva Babbo Natale, era in quella notte che i bambini ricevevano i regali. Questo permetteva un ricordo dei morti molto più dolce, una loro presenza costante. Praticamente è come se avessimo re-inventato una favola di Basile, mantenendone il linguaggio: io interpreto un vecchio che per sconfiggere la solitudine invita a cena, nella loro antica dimora, i defunti della famiglia».
Lei è stato definito un esempio di contaminazione virtuosa tra le tre componenti che animano la ricerca teatrale, perché architetto, attore e scenografo.
«Sono laureato in architettura, ma non ho mai esercitato, mai costruito case. Ma gli studi mi hanno consentito di potermi occupare delle scenografie, soprattutto per le opere liriche che dirige Emma. In Pupo di zucchero recito e basta, perché le scenografie sono state pensate da lei e si compongono delle bellissime sculture create da Cesare Inzerillo che mostrano il corpo osceno della morte».
Ma in “Pupo di zucchero” la morte non è un tabù, non è scandalosa, ciò che il vecchio vede e ci mostra è una parte inscindibile della sua vita?
«Direi che c’è infatti, più una riflessione sul senso di solitudine, donando una carezza alla morte. Attraverso il ricordo i morti restano in vita, questo il mio concetto di eternità. Questa tradizione è scomparsa purtroppo, lasciando il posto a feste importate e dal nome impronunciabile».
Anche in questa occasione la scenografia è stata un punto di partenza e non di arrivo?
«Diamo molta importanza alle scene e ai costumi: partiamo sempre da una scena vuota che viene popolata, piano piano, da una serie di oggetti. Tutto ciò va a costituire l’ambiente che costruirà il nostro lavoro teatrale. La nostra è una compagnia di professionisti che attinge anche da giovani che si sono formati nella nostra Accademia, come in questo caso».
È vero che la Dante è così severa con gli attori?
«È molto attenta e meticolosa, cura ogni piccolo particolare.

Lavoriamo molto anche sulle improvvisazioni, ma non ci preoccupiamo di essere beneducati: se qualcosa non va si possono anche usare modi “spicci”, ma solo per ottenere il risultato di una buona interpretazione».

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