Tra i segnali del sentimento che legò papa Sisto V alla sua terra, uno dei più preziosi è di certo un reliquiario, che donò a Montalto delle Marche. Un pezzo di altissima oreficeria, tanto magnifico quanto delicato, che da venerdì è al centro di una mostra allestita al Museo dell’Opificio delle Pietre Dure, a Firenze. Il reliquiario sarà esposto fino al 4 maggio, grazie alla concessione di monsignor Carlo Bresciani, vescovo di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto, e della direttrice dei Musei Sistini del Piceno, Paola Di Girolami. La mostra, per la rassegna “Caring for Art. Restauri in mostra”, permette di osservare l’oggetto da vicino, e di apprezzare l’abilità tecnica, con cui sono stati realizzati dettagli minimi, anche nelle parti apparentemente secondarie. Si coglie la sensibilità religiosa degli artefici, la capacità di creare volti, posture, immagini di patetico realismo, in un tripudio di smalti e gemme.
Il restauro
Il reliquiario, appena uscito dalle mani dei restauratori fiorentini, dopo un’accurata revisione, sia della struttura metallica che degli elementi smaltati, ha una lunga storia. La parte più antica dell’opera, in forma di tavoletta, alla fine del Trecento era appesa nella cappella del Louvre. Risulta dall’inventario del tesoro di Carlo V di Francia, il quale si presume l’abbia commissionata al suo orafo di corte, tale Jean du Vivier. Fu lui a realizzare, stendendo smalti colorati a tutto tondo su oro, l'angelo biondo dalle grandi ali blu e bianche che regge il corpo esanime di Cristo, offrendolo alla contemplazione dei fedeli.
I passaggi di proprietà
Più tardi, l'oggetto di devozione, che unisce il lusso dei materiali – oro, argento e pietre preziose – all'efficacia iconografica, risulta fra i beni ereditati nel 1439 da Federico IV d’Asburgo, duca d’Austria e conte del Tirolo.
L’ostensione limitata
Sisto V, nel donarlo, nel 1586, alla comunità in cui, nel convento di San Francesco, aveva avuto la formazione ecclesiastica, prescrisse di limitarne l’ostensione pubblica a sole tre volte l’anno, in considerazione della fragilità. Custodito dai maggiorenti della città, poteva essere prelevato solo usando quattro chiavi. Durante la campagna napoleonica, i cittadini, per sottrarlo alla razzia, offrirono di tasca propria l’argento di due candelabri.