Greco in scena alle Muse con Rocco:
«Nello spettacolo la danza si fa boxe»

Una scena dello spettacolo Rocco alle Muse
Una scena dello spettacolo Rocco alle Muse
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Sabato 1 Aprile 2017, 11:25
ANCONA - Con la coreografia e la direzione di Emio Greco e Pieter C. Scholten, domenica alle 17,30 “Rocco” chiude la stagione invernale di danza di Marche Teatro. Quattro danzatori - Denis Bruno, Quentin Dehaye, Pedro Garcia, Andrés Garcia-Martinez – si scontrano come in un incontro di boxe, e il ring è la scena attorno alla quale, oltre che in platea, siederà il pubblico. La musica è di Pieter C. Scholten, i costumi sono di Clifford Portier, le luci di Paul Beumer e Pieter C. Scholten. La produzione è del Ballet National de Marseille in collaborazione con l’International Choreographic Arts Centre di Amsterdam. Biglietti a bordo ring (posti limitati) euro 20; platea: intero 20, ridotto (under 30 - over 65, marcheteatrocard, operacard, abbonati Conerobus) 15.
I piedi rimbalzano, i corpi si studiano, gli arti disegnano traiettorie virtuose, scattano, fanno affondi e si ritraggono. Danza o boxe? Entrambi, in “Rocco”.
È chiara l’allusione al capolavoro di Visconti “Rocco e i suoi fratelli”. Che rapporto?
«Il film è un magnifico racconto di migrazione di una famiglia dal sud al nord. La madre dice dei figli che sono cinque come le dita di una mano, stretta a pugno: e loro, unitissimi, combattono tra loro. L’affinità è scattata quando ci siamo resi conto che stare in scena è come stare su un ring: ognuno in contatto con un’idea di sé e fisicamente contro l’altro, o verso il futuro».
Fratelli, come la danza e la boxe?
«Analoghe sono le tecniche di movimento dei piedi e lo spostamento del corpo, di ritmo e di interazione. Sono due linguaggi fisici che si confrontano, come le due coppie di danzatori in scena, in un rapporto di amicizia, fratellanza, amore, sfida sociale e familiare, in quel gioco di specchi che è il rapporto umano».
La storia di “Rocco e i suoi fratelli” assomiglia alla sua?
«Anch’io ho origini contadine, e per seguire la mia passione sono dovuto migrare in Francia. E poi c’è un’altra affinità: mio padre da giovane negli anni Cinquanta tirava di boxe, ha vinto anche qualche premio. Per me fare questo spettacolo è un ritorno alle origini e un omaggio a mio padre, al quale tra l’altro ho chiesto di illustrarmi tecniche e pratiche di questo sport, di raccontarmi esperienze personali di un contadino, pugile per passione. Glielo dovevo, tutto mi portava in questa direzione».
Da Brindisi alla Francia per riuscire a danzare. Una passione forte, come quella di Billy Elliot?
«Sì, ma con la differenza che ho cominciato più tardi di lui: a 19 anni le prime lezioni, poi a 21 anni ho capito che la mia unica possibilità era andare fuori. Al Centre de Danse International Rosella Hightower a Cannes ho trovato quello che faceva per me, una scuola dove un giovane poteva avere una seconda chance: a quell’età dovresti essere già ballerino fatto. Ho lavorato molto e sono stato premiato. A Parigi passai un’audizione con Jan Fabre, con cui ho lavorato per qualche anno. Poi, dal 1995 ho preso la mia strada».
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