Sua Maestà il brodo: una delizia per salutare l'anno nuovo a cavallo tra tradizione e novità gourmet

Sabato 31 Dicembre 2022, 01:10 - Ultimo aggiornamento: 5 Ottobre, 16:47 | 3 Minuti di Lettura

Le lumachelle dell'antico Ducato

Nascosta nelle madie dell’antica Casteldurante, l’attuale Urbania, e in quelle “dentro le mura” di Sassoferrato, c’è una pasta che risale a quando i due Comuni facevano parte del Ducato di Urbino. Nella città della ceramica, si mangia a Natale mentre nel paese del Salvi, è il piatto che celebra il giorno di tutti i Santi. Comunque, in ambedue, si cuoce nel brodo di pollo, anzi meglio di tacchino o di capone, arricchita dai “grisilli” ad Urbania o “grigelli” a Sassoferrato. Una salsa fatta in padella con il burro e le interiori del volatile di cortile tagliati piccolissimi, sfumata con il vino (solo in Urbania) e arricchita con il concentrato di pomodoro. È una pasta che non si adatta alla fretta della cucina odierna. È minuscola, richiede manualità, insomma tempo e pazienza.

Gli attrezzi

I suoi attrezzi sono il pettine (telaietto fatto di sottilissime canne) e bastoncini di salice. Ed è qui che si cela il segreto delle durantine “Lumachelle sa (con) i grisilli” - ribattezzate “della Duchessa” e dei sentinati “Maccheroncini con le bacchette”. Nell’elasticità del rametto. Accompagna il rullaggio della tagliatella fine arrotolata e asseconda la pressione quando si spezza e si sfila. Bastoncini di giunco o salice, in dialetto durantino “vettrica”, o di “vengo” in sassoferratese che si ottengono tagliando, scuoiando, legando insieme i bastoncini in cima, in mezzo e in fondo, affinché le bacchette seccando rimangono ben diritte, lasciate essiccare al sole tutta l’estate per togliere quell’odore di erba. Una pasta simile nella tecnica, nella forma, perfino nella cottura ma non nell’impasto. Appassionata di storia della cucina e titolare di una gastronomia di pasta fresca nel cuore di Urbania, Francesca Guerra iniziò ad indagare sul piatto una ventina di anni fa con il supporto del Comune. «Era una pasta che su ordinazione realizzavano le monache benedettine di Urbania, Sant’Angelo in Vado e Mercatello sul Metauro, tanto è vero che si chiamavano le “Lumachelle delle suore”. E siccome richiedevano molto tempo, iniziavano a farle diverse settimane prima di Natale e si mantenevano perché nell’impasto c’era la cannella, antimuffa eccezionale».

L’impasto

Un impasto ricco fatto di uova, farina, parmigiano, pecorino, cannella, noce moscata ben diverso di quello tipico sassoferratese senza formaggi e spezie realizzato dalle suore del Monastero di Santa Chiara e dalle Carmelitane benedettine del Sacro Cuore. Era considerato un piatto unico già ricco per la presenza di uova, del brodo e delle rigaglie. Dalle ricerche di Francesca emerge che il piatto, citato in un registro degli obblighi delle parrocchie del 1700, era un ricostituente per le puerpere. «Questo perché la pasta – spiega - non è rigata nel senso del foro ma nel senso opposto e le incisioni del pettine si sommano a quelle dei bastoncini creando un reticolo che fa che la pasta assorbe molto liquidi: 60 grammi bastano per una porzione». Usanza confermata dalla “tazza della partoriente” o “Servizio dell’Impagliata” per mangiare a letto. «All’origine dell’idea della Pro loco – conclude Francesca – di chiamarle le “Lumachelle della Duchessa” in onore di Battista Sforza, moglie del Duca di Urbino che ebbe dieci figli».

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