Così il dragone del Duomo di Milano è finito in un capannone di Vallefoglia

Così il dragone del Duomo di Milano è finito in un capannone di Vallefoglia
Così il dragone del Duomo di Milano è finito in un capannone di Vallefoglia
di Miléna Bonaparte
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Domenica 29 Gennaio 2023, 04:20 - Ultimo aggiornamento: 14:21

PESARO  - Lo cercavano in Olanda e Belgio, ma alla fine i carabinieri l’hanno trovato chiuso in un capannone di Montecchio. Un doccione, cioè una scultura in marmo a forma di drago alato del Duomo di Milano staccatasi da una guglia in seguito ai bombardamenti alleati del 1943 e di cui si erano perse le tracce, è stato sequestrato circa un mese fa a un notissimo antiquario locale, titolare di gallerie tra il capoluogo lombardo e Pesaro, che lo aveva collocato in un magazzino di sua proprietà nella zona industriale di Vallefoglia. 


Il blitz è stato messo a segno dai militari del Nucleo tutela patrimonio culturale di Monza nell’ambito di un’indagine, con ricerche in mezza Europa, della procura della Repubblica di Milano.

Il famoso gallerista è indagato per ricettazione ed esportazione illecita di beni culturali.


Gli inquirenti


Secondo gli inquirenti intendeva infatti vendere l’opera in Olanda alla Tefaf, la principale fiera d’arte, antiquariato e design europea che si svolge ogni anno a Maastricht. Un fregio ornamentale gotico in marmo di Candoglia (si crede servisse per allontanare gli influssi maligni dalle chiese e dai fedeli) assai voluminoso. Pesa infatti 365 chilogrammi per un lunghezza di 1 metro e 60 centimetri, quindi trasportabile solo con l’aiuto di una gru e utilizzando un mezzo pesante, senza passare certo inosservati e a costi piuttosto ingenti.
Il manufatto resta a disposizione della Procura milanese per la successiva restituzione alla Veneranda Fabbrica del Duomo. Davanti al pubblico ministero, e anche in sede di udienza al Tar, il gallerista con numerose attività anche nel Pesarese ha sostenuto di avere acquistato il drago alato «in buona fede per 23.000 euro nel luglio 2018 da un antiquario di Brescia ignaro anche lui della provenienza - spiega il suo avvocato Domenico Costantino -, di essere quindi legalmente proprietario dell’opera d’arte, di non averla mai sottratta né tentato di esportarla all’estero.

Ma, al contrario, il proposito del mio assistito è stato quello di mettere a disposizione delle forze dell’ordine il prezioso manufatto proprio nel suo capannone di Montecchio, dopo averlo trasportato dall’Olanda dove lo aveva fatto restaurare, essendo l’opera in pessime condizioni. In questa circostanza ha capito, grazie all’artigiano fiammingo, che si trattava proprio del pezzo scomparso dalla guglia della cattedrale milanese e ha subito segnalato la scoperta alla Fabbrica del Duomo, assicurando loro che avrebbe restituito l’opera». 


Vicenda complessa


La vicenda del doccione ritrovato a Vallefoglia è assai complessa e affonda le radici in proprietà del bene, ora legittime ora dubbie, e una successione di leggi diverse in vigore nel corso degli anni. Dal dopoguerra in poi il dragone alato è passato in varie mani e se ne erano perse le tracce. Al conosciuto gallerista lo ha venduto un discendente dell’imprenditore milanese Giuseppe Torno, fondatore del noto colosso delle costruzioni, che lo aveva ereditato insieme ad altre opere. 


E la tesi della difesa poggia proprio sulla donazione da parte della Fabbrica del Duomo al costruttore, in base a due documenti del 1952 e 1954, perché poteva capitare che statue danneggiate venissero regalate come simbolica riconoscenza ai benefattori della cattedrale. Gli inquirenti hanno invece verificato che in quelle carte la concessione di alcuni pezzi all’ingegner Torno riguardava frammenti di pavimentazioni del Duomo e non doccioni e draghi alati. Peraltro, anche senza l’autorizzazione richiesta dalla legge del 1939 per l’alienazione dei beni di enti e istituti. 


La ricostruzione


I carabinieri hanno ricostruito che il gallerista, per poter esportare l’opera, tra il 2018 e il 2019 aveva ottenuto l’attestato di libera circolazione non dall’ufficio della Soprintendenza di Milano, ma dalla conservatoria di Verona-Rovigo-Vicenza, indotta in errore dalle non veritiere dichiarazioni che si trattasse di un manufatto del Nord Europa.
Pertanto la pm Francesca Crupi ha ottenuto dalle giudici del tribunale del Riesame di Milano il sequestro preventivo del manufatto, inizialmente non concesso dal gip Giulio Fanares per la controversa successione delle leggi. E al sequestro è seguito, poco più di un mese fa, il ritrovamento del dragone a Montecchio che secondo il gallerista sarebbe stato da lui voluto e pilotato. 

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