Voci dalla quarantena: così vivono e lavorano i più giovani all’estero

Voci dalla quarantena: così vivono e lavorano i più giovani all’estero
Voci dalla quarantena: così vivono e lavorano i più giovani all’estero
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Venerdì 20 Marzo 2020, 11:06

ANCONA - Sono tantissimi gli anconetani che vivono e lavorano all’estero. In questi giorni di Covid-19 e stravolgimento della quotidianità, molti scorrono, con un occhio, le drammatiche notizie dell’Italia, mentre con l’altro scrutano le strade delle città in cui vivono. «Dalla finestra del mio appartamento, tra pochi giorni, vedrò un ospedale galleggiante, una nave con migliaia di posti letto nell’Hudson River, qui a New York», spiega Luca Recchia, Expansion & Franchising Manager Calzedonia.

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«Al di là dell’impiego di mezzi per fronteggiare l’emergenza – continua - il problema è sociale. In California, per dire, molti si sono fiondati a comprare armi, come se dovessero sparare al virus». A Londra Pietro Speciale, attuario presso European Insurance Consolidation Group, da giovedì scorso lavora da casa, limitando le uscite. Sospesi i drink dopo l’ufficio e il calcetto. «Mi sento in mezzo ad un controsenso. Quando chiamo in Italia percepisco preoccupazione, ma poi guardo fuori dalla finestra e vedo che tutto procede normalmente». Anche Alessandro Carloni vive nella City, dove frequenta la Pearson Business School. «Io e la mia ragazza usciamo, andiamo al ristorante o al pub. Per il momento ci atteniamo alle norme imposte dal paese in cui viviamo. Le strade del centro non sono affollate, ma, per il comune cittadino, qui è business as usual». Costanza Ciccioli, analista finanziaria per Infosys da Dublino, evidenzia le nuove restrizioni governative: «Mercoledì era St. Patrick Day, la festa più sentita dagli irlandesi, ed è stato annullato tutto».

 


In Svezia si cerca di non allarmare i cittadini. Eleonora Spadolini, studentessa di lingue e baby-sitter a Stoccolma, riferisce che «il numero reale dei contagiati non si conosce perché qui fanno pochi tamponi». In Finlandia, per Christian Frati, iscritto al master Peace, Mediation and Conflict research della Abo Akademi, la popolazione rispetta le regole di contenimento, anche se, per strada, «non c’è gente con le mascherine». Più a sud, dall’Olanda, Matteo Petrini, Sous-chef di Eatmosfera, tocca un punto delicato: «Molti ragazzi italiani occupati nella ristorazione sono stati licenziati e le attività stanno chiudendo. Chi ha spese da sostenere è in difficoltà e alcuni rischiano di trovarsi per strada. E c’è un atteggiamento prevenuto nei confronti degli italiani».

Idem in Portogallo, come spiega Giacomo Ciavattini, tesista in architettura all’Università di Porto. «All’inizio tutti hanno preso la situazione come un gioco e gli italiani erano visti un po’ come i responsabili del contagio. Non esco di casa dal 9 marzo, non per imposizione delle autorità, ma per senso di responsabilità. Sono comunque convinto che ne usciremo più forti di prima». Davide Giannelli, impiegato a Marsiglia nella ong Eurocircle, incrocia le dita affinché tutti rispettino le regole. «Da venerdí sono in quarantena, perché, dopo un viaggio di lavoro in Germania, potrei aver avuto un contatto sospetto. È scioccante che qui la settimana scorsa siano andati a votare. Per settimane si è fatto finta di niente». 

In Giappone, Yosri Razgui, dottorando in antropologia all’Università di Kobe, riferisce che «i numeri dei contagiati sono ancora bassi, perché non si fanno i test.

Scoppiata l’emergenza, i controlli negli aeroporti riguardavano persone provenienti dall’Hubei, ma molti sono entrati dalla Corea e dalla Cina. C’è una teoria sul basso numero dei contagi: si ritiene che il primo ministro Shinzo Abe intenda mantenere l’immagine di un Giappone sicuro, in vista delle Olimpiadi di questa estate, il cui annullamento potrebbe comportare gravi danni all’economia».

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