Fabi e il rebus calzaturiero: «Temo per i laboratori». Santoni: «Noi come al Cern»

Fabi e il rebus calzaturiero: «Temo per i laboratori». Santoni: «Noi come al Cern»
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Lunedì 20 Aprile 2020, 12:58 - Ultimo aggiornamento: 13:01

«La nostra Fabi è una realtà in cui tante precauzioni, distanziamento compreso, sono già state prese, favorite anche dal fatto di ampie metrature nelle due manovie, negli spazi comuni e in tutti gli uffici. Ma non per tutti è così, la filiera è piena di piccole e meravigliose realtà che operano in luoghi più limitati».

Alessia Fabi, uno dei marchi più noti del calzaturiero marchigiano, ha già tutto pronto in azienda, ma la scelta a monte è stata tranchant: cassa integrazione fino a metà maggio. Il problema 4 maggio per loro non esiste. Piuttosto, il pensiero va alla filiera che tra Maceratese e Fermano, come in altri settori, dovrà rivedere le regole sulla protezione dei lavoratori, così come sottolineato anche dal governatore Luca Ceriscioli nell’intervista di ieri rilasciata al Corriere Adriatico («Apro a chi è bardato come a Wuhan»). Inizia il conto alla rovescia per ripartire. Fonti vicino a Tod’s riferiscono che da oggi riapre parte della logistica e dal 4 è programmato il restart.

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Giuseppe Santoni, altro brand in vista del calzaturiero, è già sintonizzato. «I miei sono bardati come al Cern di Ginevra altro che Wuhan. L’imprenditore vero tutela i suoi lavoratori». Avrebbe riaperto prima, se avesse potuto. È polemico: «Abbiamo bloccato tutto per cercare di controllare la situazione, ma più che altro abbiamo evitato di governarla: dovremo imparare a convivere con il virus». 

Se il mondo delle scarpe è in subbuglio, quello dei mobili non è da meno. «Noi stiamo alle regole, abbiamo riaperto solo il magazzino per le forniture e ci vanno bene sia il 27 che il 4 maggio - dice Fabiana Scavolini da Montelabbate -. Da una parte vorremmo partire perché una parte del nostro mercato internazionale va avanti. Se il primo paese del mobiliero, ovvero la Germania, è aperto ci mette in svantaggio. Però l’Italia completamente ferma ci fa dire: partiamo quando lo fanno tutti e quando potremo riaprire i negozi. Basta che si faccia tutti insieme. Sicurezza? Noi ci siamo: tutto codificato, distanziamento, dispositivi di protezione, entrate scaglionate». Un altro che è allineato è Alvaro Cesaroni di Sigma, la perla fermana che produce bancomat e ticketing machine ad Altidona: «La sicurezza che chiede Ceriscioli da noi c’è, anche senza allestire nuovi turni. La unit progettazioni va avanti da casa, gli altri in ferie. Una settimana in più o in meno non ci cambia la vita. Il disastro ormai c’è stato». 

Tra chi vuole riaprire, non solo le Marche ma anche il Paese, è Roberta Fileni: 2.000 dipendenti con il 10% in più a tutti sulla paga oraria «come premio per lo sforzo fatto per garantire il numero accresciuto di commesse più l’assicurazione anti Covid-19». La benedizione di guidare il terzo player nazionale nel settore delle carni avicole e un’attività mai interrotta non le fa dimenticare il resto: «Aprire, aprire. Sicurezza? Noi eravamo già al top per ragioni igieniche di lavorazione del cibo. Però abbiamo anche modificato i layout e i turni». Lavora anche Hp Composites di Ascoli, gioiellino da 560 dipendenti che tratta il carbonio per automotive e aerospaziale: «Abbiamo chiuso una settimana dal 26 al 3 aprile - spiega Abramo Levato - e pensavamo che nel nostro settore non ci sarebbero stati problemi. Invece poi si sono fermate la Francia e la Germania. Quanto ci stanno a cuore i dipendenti? È scritto nella scelta di rinnovare i 160 interinali che avevamo in scadenza a fine marzo fino a fine maggio. Oltre che per la sicurezza, naturalmente». 

Gran finale per l’innovatore Enrico Loccioni che non ha «mai chiuso perché molti nostri clienti operano in filiere strategiche o aerospaziali».

In termini di visione lancia due macigni: «C’è qualcuno che pensa a come fermare lo spopolamento delle aree interne? Tra un po’ ci saranno solo persone di 80 anni». E allora lancia una provocazione che potrebbe diventare anche qualcosa di più se qualcuno in Regione avesse lo sguardo lungo: «I miei amici del Nord mi dicono che su non c’è più spazio, le aziende sono una sopra all’altra: invitiamole a spostarsi qua, dove ci sono i capannoni vuoti e una qualità della vita migliore».

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