L’imprenditore Mosca torna in libertà. «Ai domiciliari ho vissuto un incubo»

Maurizio Mosca con, ai lati, gli avvocati Perticarari e Netti
Maurizio Mosca con, ai lati, gli avvocati Perticarari e Netti
di Benedetta Lombo
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 18 Novembre 2020, 03:40

MACERATA - «È stato un incubo, io credo che una persona normale non riesca a capire quello che succede, anche perché io non credo di aver fatto niente di male».

Sono state le prime parole pronunciate ieri mattina da Maurizio Mosca nello studio dei suoi legali, che pochi minuti prima gli avevano comunicato la notizia che da giorni attendeva ma che non immaginava arrivasse così presto. All’indomani dell’udienza dinanzi al Tribunale del Riesame di L’Aquila, i giudici hanno annullato l’ordinanza impugnata (per la quale dal 27 ottobre scorso era agli arresti domiciliari per corruzione nella vendita di valvole cardiache) e lo hanno rimesso in libertà. 

Ancora frastornato e visibilmente emozionato, seduto accanto ai suoi avvocati («che prima di tutto sono amici», ha evidenziato), Andrea Netti, Renato e Andrea Perticarari e Valentina Romagnoli, Mosca ha ripercorso la mattinata che gli ha stravolto la vita: «Sinceramente non ricordo cosa dovevo fare quel giorno, sicuramente sarei andato a lavorare come facevo tutte le mattine. Il momento più difficile è stato quando sono venuti i quattro finanzieri di Chieti. Hanno avuto una grande umanità, hanno cercato di tranquillizzare tutti, ma quando uno di loro che era già venuto a febbraio mi ha detto “Stavolta non è così bella, forse è il caso che lei chiami un avvocato”, a quel punto mi è crollato il mondo addosso, ho capito che c’era un arresto». 

«Un po’ come – ha poi cercato di sdrammatizzare – quando sono stato a Roma nel 2002 e l’Inter perse la famosa partita con la Lazio, sono tornato a casa e ho pensato, adesso vado a dormire poi mi sveglio ed è stato un sogno. Più o meno è stata la stessa cosa, pensavo fosse veramente un sogno, che non fosse vero. Tutto potevo credere nella mia vita, meno che fossi arrestato dopo 45 anni di lavoro. È stata dura stare senza telefono, per me che ricevo 50 telefonate al giorno, i primi giorni andavo tastando la poltrona alla ricerca del telefono. Oggi sarei voluto andare al ristorante ma sono chiusi». 

«A casa ho notato l’affetto degli animali - prosegue Mosca -. Portavo tutti i giorni il mio cane a fare un giro, poi non l’ho potuto fare più, deve aver capito che non potevo perché quando qualcuno lo prendeva, lui non ci andava, ho fatto fare 20 giorni di arresti domiciliari anche al cane». Dal trauma alle rinunce, dai pensieri alle speranze, l’imprenditore, ex presidente della Maceratese, ex consigliere comunale, ieri si è anche tolto un sassolino dalla scarpa rivolgendosi al consigliere Pd Narciso Ricotta che alcuni giorni fa aveva commentato l’arresto di Mosca evidenziando come, a suo dire, fosse stato lasciato solo dal centrodestra: «Che vuol dire mettermi in mezzo in quel momento così difficile? Mi è dispiaciuto, io credo che forse in alcuni casi sia meglio non parlare, aspettare. Non credo che si possa fare campagna elettorale sulla pelle di una persona che comunque non è stata ancora condannata e che comunque per 40 anni ha dimostrato di aver fatto tanto per questa città: ho fatto il presidente della Croce Verde, della Maceratese, al softball, allo Sferisterio, i mecenati che li ho inventati io. Credo che da persone che hanno un minimo di cervello, probabilmente il fatto di non parlare di me in quel momento sarebbe stato meglio. Io devo dire che ho ricevuto tantissimi messaggi di vicinanza bipartisan, i miei amici del centrodestra tutti hanno chiamato mia moglie, hanno mandato messaggi non ho alcun rilievo da fare, anzi, ho solo da dire grazie». 

«Anche nel Pd e in altre compagini politiche ci sono state persone fantastiche, non voglio fare nomi, loro lo sanno, io li ringrazio tutti perché mi hanno fatto arrivare tanta vicinanza. Dico solo questo, ieri l’assessore Paolo Renna che per me è un figlio, ha scritto a mia figlia dicendo se poteva mandarmi delle tagliatelle fatte dalla madre, quindi oggi dovrebbero arrivarmi delle tagliatelle perché a quest’ora non sa che sono stato liberato. Io – ha poi aggiunto riferendosi all’indagine che lo vede coinvolto - non ho fatto niente di male». 

«Credo che quando conosci persone con cui lavori da 20 anni - dice Mosca - mettere una barriera tra il professionale e l’umano è molto difficile. Io quello che posso dire è questo: lavoro dal 1975, ho sempre fatto attenzione ad una cosa, non fare prezzi diversi a seconda degli ospedali che fornivo con gli stessi prodotti. Proprio con Chieti, non essendoci la gara, ho sempre cercato di tenere l’ospedale ai livelli di altri ospedali che sono nella zona. Io non sono mai entrato in un tribunale, neanche da testimone, io ringrazio Dio di aver avuto loro (riferendosi ai legali) perché al di fuori della loro indubbia capacità credo… credo che spesso venivano anche se non c’era bisogno, ecco».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA