Quinto Nunzi, deportato in un campo di lavoro. A 99 anni da Civitanova fa causa alla Germania

Quinto, deportato in un campo di lavoro. A 99 anni fa causa alla Germania
Quinto, deportato in un campo di lavoro. A 99 anni fa causa alla Germania
di Benedetta Lombo
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Sabato 21 Gennaio 2023, 04:10 - Ultimo aggiornamento: 13:07

CIVITANOVA -  Deportato in Polonia in un campo di lavoro da cui uscì miracolosamente dopo 20 mesi, ora Quinto Nunzi, all’età di 99 anni (compiuti dieci giorni fa), fa causa alla Repubblica federale di Germania chiedendo un risarcimento di 130.000 euro per tutti i danni subiti, fisici e non, patrimoniali e non. L’udienza si terrà al Tribunale civile di Roma il prossimo 30 maggio. «Era ora!». Aveva accolto così il civitanovese Quinto Nunzi la proposta dei parenti di avviare la causa contro la Germania, lui che ha vissuto il dramma della deportazione uscendo dal campo che pesava appena 37 chilogrammi, che è stato insignito della Croce al merito di guerra e che di recente, alla soglia dei 100 anni, ha sconfitto anche il Covid. 

 

A ottobre scorso, tramite i legali Dino Gazzani e Alessandra Piccinini ha avviato una causa civile contro la Repubblica federale di Germania chiedendo il risarcimento dei danni subiti.

Nell’atto di citazione i legali hanno ripercorso il dramma di Nunzi ricercando e allegando numerosi documenti reperiti anche con non troppa facilità dal momento che si tratta di documenti risalenti agli anni ‘40. Originario di Campofilone, a 19 anni, nel 1943 svolse la leva militare obbligatoria e fu impiegato come soldato di fanteria nell’Esercito italiano. In quell’anno si trovava a Gorizia ed è lì che venne catturato dalle forze militari tedesche e deportato a Mislovitz in Polonia.

«In quel campo – spiega l’avvocato Dino Gazzani – fu trattenuto in condizioni di sostanziale schiavitù: privo dello status di prigioniero di guerra e quindi delle relative garanzie assicurate dalla Convenzione di Ginevra, fu costretto a usuranti lavori non retribuiti, denutrito e in condizioni igieniche inaccettabili. Il signor Nunzi, dopo la liberazione del campo ad opera delle forze militari sovietiche, riuscì a far ritorno in Italia, a Campofilone solo nel mese di giugno 1945 dopo un viaggio di fortuna durato sei mesi. Fu a lungo in cura per una grave forma di denutrizione, pesava appena 37 chilogrammi, e per le numerose ferite e infezioni dovute alla terribile prigionia».

Da quel campo per due volte tentò di fuggire «insieme ad altri internati – prosegue il legale -, ma lo fece per fame, solo per questo. Ma fu entrambe le volte catturato e riportato nel campo». Sono numerosi i documenti che i legali sono riusciti a recuperare come il Foglio di viaggio rilasciato dal Comitato di liberazione nazionale Alto Adige e il Foglio Matricolare.

«A queste prove – aggiunge l’avvocato Gazzani - si aggiunge anche il racconto diretto di Nunzi che ha riferito vari dettagli delle condizioni dei prigionieri e dei trattamenti contrari al senso di umanità che connotarono sia i giorni immediatamente conseguenti alla cattura, sia la sua permanenza nel campo. Trattamenti che consistevano nell’impiego dei prigionieri, come detto gravemente denutriti e in condizioni igieniche inaccettabili, in miniere di carbone, nell’attività di costruzione di fosse anticarro e persino per lo smaltimento dei cadaveri».

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