ANCONA Si può leggere come un apologo dell'amicizia, l'ultimo libro di Paolo Marasca, autore anconetano al terzo romanzo, dopo "La qualità della vita" e "La meccanica dei gesti". Oppure come metafora dell'abuso che facciamo delle parole, e delle conseguenze. Invece è una storia vera, che lui ha trasformato in una favola, capace di farci riflettere su un tema da sempre rimosso dalle nostre coscienze: cosa accadrebbe se, all'improvviso, fossimo privati della possibilità di esprimerci a parole, di comunicare a voce pareri ed esperienze, di ringraziare e insultare, di condividere le nostre idee?
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Lo spunto
È successo a un suo amico, e lui ne ha tratto spunto per scrivere un romanzo che potrebbe essere letto come soggetto di un lungometraggio. Ne è protagonista Giuseppe, uno psicoterapeuta che, per un ictus, perde l'uso della parola. Comprimari sono gli amici di sempre: Benedetta, Giulia, Marco e Luna. A loro si aggiunge Ugo, compagno di giochi dell'infanzia, che condivideva con lui, nel paesetto d'origine, le fughe nel bosco, e un rifugio segreto. La nuova situazione, che taglia Giuseppe fuori dal mondo frequentato nella maturità, lo spinge a cercare una nuova vita in un mondo appartato, nella natura, dove non serve parlare. L'impegno professionale, profuso per chi ha blocchi e barriere mentali, viene sostituito da una nuova missione, verso chi cerca di valicare frontiere, per cercare una nuova patria.
L'ambientazione
Scritto da Paolo Marasca, quando la pandemia gli ha concesso tempo, libero dagli impegni di assessore alla Cultura di Ancona, "La casa delle parole" è ambientato nei luoghi delle Marche, tra mare e foreste; porta il segno del terremoto, del covid, delle migrazioni clandestine. Brevi accenni, in una storia che indaga con sottile leggerezza, ma con molte domande senza risposta, sulle incognite della vita.