Tania Montelpare (Lighea): «Cantavo “Rivoglio la mia vita”, ora ho un’Accademia e 40 allievi»

«A Pippo Baudo piaceva la mia divisa in canotta e anfibi». Poi lo strappo: «Quella popolarità non mi piaceva. E adesso sono serena»

Tania Montelpare (Lighea): «Cantavo “Rivoglio la mia vita”, ora un’Accademia e 40 allievi»
Tania Montelpare (Lighea): «Cantavo “Rivoglio la mia vita”, ora un’Accademia e 40 allievi»
di Maria Cristina Benedetti
4 Minuti di Lettura
Sabato 13 Gennaio 2024, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 11:35

Diversamente popolare, Tania Montelpare, in arte Lighea. «Sono salita sul palco più famoso d’Italia, ma il mio mito è sempre stato Saranno famosi, l’accademia di ballo, canto e recitazione che ispirò l'indimenticabile serie televisiva. Lì sono tornata». Si racconta in tre vite che poi è una sola, la sua, viscerale e passionale. «Da bambina ero piccola e nera, con la percezione di non essere mai valorizzata. Nella ricerca del successo c'è stata tanta voglia di riscatto».

Quando arrivò?

«A Castrocaro, da giovanissima, al Festival di Sanremo poi. Erano le edizioni del 1994 e del 1995, c’era Pippo Baudo che s’era appassionato alla mia divisa di scena, canotta e anfibi. M’incoraggiava».

Voleva sparigliare con il look?

«No, è stato un caso. Mi presentai con abiti da signorina bon ton, mi dissero che non funzionavano. Allora dalla valigia tirai fuori i miei vestiti della quotidianità. Nacque il personaggio».

I titoli che la consacrarono?

«Possiamo realizzare i nostri sogni e Rivoglio la mia vita. Parevano un presagio».

Al Festivalbar intonò una melodia con la quale raggiunse la top 40 degli album più venduti in Italia.

«Sì, con Le cose che non riusciamo a terminare mai. Era sempre il ‘95. Il mio compagno, Nazzareno Nazziconi, allora era il mio produttore: ha creduto in me quando nessuno ci avrebbe scommesso».

Non le bastò?

«Non mi riconoscevo. Avrei voluto dialogare con la musica. Essere me stessa. Ma l’ingranaggio della fama non lo permetteva. Durante i live mi costringevano a restare in camerino fino all’ultimo, per creare l’attesa, mentre io avrei voluto parlare con quei giovani che erano là, sotto il palco, in delirio per me».

Lo strappo?

«Non volevo quel tipo di popolarità. Ero arrivata, ma non distinguevo il traguardo. Avrei voluto vivere più intensamente».

Così ha deciso di barattare la celebrità con l’impegno. Coraggiosa.

«No, istintiva, soprattutto inconsapevole. Mi sono sempre sentita come un gatto randagio al quale nessuno poteva imporre il da farsi».

Ha tirato fuori gli artigli?

«Non c’è stato bisogno. Sono sempre stata brava a indirizzare la mia esistenza. Non ho mai dovuto dire dei no, accadeva e basta. All’inizio della metamorfosi ho sofferto. Lo ribadisco: non ero cosciente. Ho lavorato a lungo con una psicologa».

Per plasmare il suo disagio?

«Sono stata ferma con la discografia per dieci anni, dal 1996 al 2006. Non ho più prodotto. Ho scritto testi per altri, e continuo a farlo soprattutto per i giovani esordienti, come fosse un dono. Ho prestato la voce a colonne sonore, ho duettato con artisti illustri, più per destino che per volontà».

Un tipo eclettico, comunque.

«Eugenio Finardi mi scelse come interprete musicale di La principessa Sissi, una cartone animato trasmesso da Raiuno».

Fino a?

«Diventare consapevole».

La canzone che più di ogni altra la rappresenta?

«Un testo del 2006, Ho, ma la catarsi è nella sua riedizione integrale del 2011».

I passaggi sono una metafora: “Ho ingannato il futuro sbirciando le carte”, “Comunque vada ho scelto” e soprattutto “Ho vinto”. Le tre vite in una, che arrivano a fare sintesi. Con M.arte.

«Mi piace questa rilettura.

Sì, è l'accademia multidisciplinare dello spettacolo, un progetto amato e condiviso con il collega Roberto Rossetti: trecento metri quadrati a Porto San Giorgio. Quaranta allievi e una decina di maestri».

Accenda i riflettori.

«Ci occupiamo di canto, teatro, musica, letteratura, soprattutto di benessere. Si pratica la danza terapia, per la crescita della persone. Una rivelazione, da provare».

Un girare intorno al mito, Saranno famosi, per arrivarci davvero. Sempre in equilibrio sul mondo, a metà tra una decisione e un’occasione. Dello scintillio degli esordi non v’è più traccia?

«Sono sempre stata stimata dai colleghi, ma niente di più. Laura Pausini è una mia fan. Una volta l’ho incontrata sulle scale dell’Ariston e mi è saltata addosso».

Tracci la distanza tra le note e la responsabilità.

«È pari a zero».

Lo dimostri con i fatti.

«Nel 2009 è uscito il singolo Miele e veleno, contro la violenza di genere. Da quel brano sono nate una collaborazione con le Pari opportunità della Regione Marche e, nel 2010, un tour teatrale, Il cuore in bocca, con cui ho raccolto fondi per i centri antiviolenza».

In quegli spartiti cercava di rimarginare una ferita personale?

«Da bambina avevo subito molestie dal vicino di casa. Ma allora non si parlava di pedofilia. Mi sentii colpevole».

Il suo è stato un canto liberatorio?

«No, ritengo che la musica abbia una forte componente sociale. Usando questo strumento dirompente desidero trasmettere la mia esperienza, perché qualcuno si può ritrovare ed essere aiutato. Mi sento parte di un ingranaggio, questo averne contezza ha trasformato la mia professione».

In tanto camminare che rapporto ha mantenuto con la sua immagine?

«Continua ad avere un ruolo importante. Parla di me. Da quando, con canotta e anfibi, cercavo la mia strada».

Tra Tania e Lighea chi ha vinto?

«Hanno imparato a convivere. Senza strappi».

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