La nostra generazione è cresciuta con l’obiettivo di un posto di lavoro sicuro, duraturo nel tempo, ben remunerato e gratificante, in una sola parola: dignitoso. Provenivamo da situazioni di grandi incertezze, i nostri genitori e ancora di più i nostri nonni, avevano attraversato due guerre mondiali che avevano incendiato l’Europa, lasciando, soprattutto la seconda, un Paese distrutto. Con la ricostruzione, il modello economico del paese cambiò da agricolo ad industriale e il lavoro diventò uno strumento, forse l’unico, per tentare di garantire una giusta ridistribuzione della ricchezza prodotta. Da confronti anche serrati e da concertazioni sono stati conquistati diritti per i lavoratori per una equa retribuzione e una maggiore sicurezza nei luoghi di lavoro, senza penalizzare la produttività. Anzi, grazie agli investimenti tecnologici e organizzativi nei sistemi produttivi e logistici, incentivati da politiche economiche capaci di favorire la crescita industriale, il Paese ha raggiunto percentuali di primissimo livello soprattutto nel settore manifatturiero, dove il coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici resta fondamentale per garantire qualità e produttività. Poi negli ultimi venti anni tutto è cambiato. Il lavoro è diventato precario, con contratti a tempo determinato, soprattutto per i più giovani. Nella maggior parte dei casi, il loro ingresso nel mondo del lavoro è disciplinato da contratti a tempo determinato con retribuzioni basse. Nessuno settore escluso, compresa l’Università, dove l’inserimento nell’attività di ricerca è regolamentato da contratti a tempo determinato.
Con la precarietà forse si abbassano le misure per la sicurezza sui posti di lavoro? Vero è che nei primi sei mesi dell’anno le denunce di infortuni sono aumentate di oltre il 40%. Un esempio che forse riassume questa situazione è Sebastian Galassi, un ragazzo di Firenze morto in un incidente stradale mentre con il proprio scoter consegnava il cibo ordinato da un ristorante. I rider, spesso in bicicletta o in monopattino, percepiscono un compenso in base alle consegne effettuate, molto spesso in tempi stretti e contingentati.
Esistono tante altre situazioni di precariato sul lavoro che meritano la nostra attenzione e che la proposta sul salario minimo potrebbe alleviare. L’Unione Europea ha proposto una direttiva ed ogni singolo paese potrà approvare in due anni la propria proposta. In Parlamento è ferma una proposta di Legge che fissa una soglia minima di 9 euro l’ora. Da qui bisognerà ripartire con un impegno concreto del prossimo governo. Del resto, basterebbe applicare l’art. 36 della Costituzione per garantire dignità al lavoro: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Libertà e dignità due parole che non dobbiamo dimenticare.
*Dipartimento di Ingegneria
dell’Informazione
Facoltà di Ingegneria
Università Politecnica
delle Marche