Il cabaret dei vuoti ritualismi nell’attuale degrado politico

Il cabaret dei vuoti ritualismi nell’attuale degrado politico

di Rossano Buccioni
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Martedì 26 Luglio 2022, 01:50

Funzionale al riconoscimento di importanti diritti in una data epoca storica e grottesca zavorra che impedisce ai migliori di decidere consentendo ai peggiori di imperversare. A ciò si riduce il gioco politico. Intervistato da un canale televisivo, l’ex ministro Giulio Tremonti rilevava i rischi dell’esclusivo affidamento della cosa pubblica all’uomo “della Provvidenza” che con la propria caratura internazionale è chiamato a sopperire alla scarsa credibilità di un’intera classe politica. L’ex ministro non ricorda che il parlamento, incapace di arrivare all’elezione di un nuovo Capo dello Stato, genuflesso, ha chiesto a Sergio Mattarella una rinnovata – quanto intrepida – disponibilità a ricoprire la più alta carica dello Stato? Non si è trattato di una patente ammissione di inconsistenza ed incapacità affidate al discernimento di un’alta figura delle istituzioni che non si è sottratta all’incombenza?

Questa indiscussa figura di garanzia ha chiamato al Governo una personalità di primo piano come Mario Draghi e gli stessi imploranti adulatori dell’attuale Presidente della Repubblica, hanno visto bene di rendere inutile la sua scelta di delegare a Draghi - prototipo del “grand commis”, benemerito funzionario dello Stato - il governo del Paese. Per pura casualità, nel dizionario dei termini scientifici della teoria sociologica di Niklas Luhmann, il termine “paradosso” viene immediatamente prima di “politica”. A livello di logiche sistemiche “i paradossi si creano quando le condizioni della possibilità di una operazione diventano contemporaneamente anche le condizioni della sua impossibilità. Si pensi al paradosso di Epimenide con l’affermazione: «Questa frase è falsa».

Non si può decidere la verità o la falsità di tale affermazione dato che le condizioni della sua falsità sono allo stesso tempo quelle della sua verità”. Circa il ruolo della politica nelle società complesse, si afferma che «il sistema politico ha un codice operativo fondato sulla dualità governo/opposizione (…), ma le difficoltà della politica aumentano quando i tentativi di inclusione politica generalizzata incontrano sempre maggiori difficoltà che sono soprattutto di carattere economico». Dunque, il demone parlamentaristico che faceva il gesto dell’ombrello agli italiani nelle recenti, lugubri, ritualizzazioni di una cronica crisi di sistema, è proprio il paradosso. L’arte dei politicanti-promettitori, acrobati-clown dell’illusione, dietro l’allucinazione del cambiamento nasconde la mera conservazione di rendite di posizione; potendo incarnare istanze emancipative, ricerca arroccamenti sprezzanti in forza di ideologie minime; dovendo adempiere alla modernizzazione di un Paese in grave ritardo sugli standard della globalizzazione (che non è affatto terminata e che non potrà che accrescersi), produce un inesorabile irrigidimento burocratico che rende impossibile al cittadino la comprensione delle regole alla base della stessa garanzia giuridica.

Il paradosso va de-paradossizzato e lo si è sempre fatto con azioni esterne al codice di un sistema (il Papa non metteva la corona in testa ad un Imperatore qualunque, ma solo a quello legittimo di fronte a Dio) e da quando il sistema politico pensa in modo “moderno” è la stessa classe politica a dover trovare al suo interno risorse per risolvere i propri drammatici problemi. Un tentativo di de-paradossizzazione del codice politico italiano è stato il Movimento 5 stelle.

Nato come “anti-politica”, cioè come tentativo di ridare centralità al cittadino cercando una riforma profonda dell’agire istituzionale, è stato completamente ri-assorbito nelle logiche politiche. Se non si può non agire “politicamente” sulle logiche del sistema politico, appare chiara l’impossibilità di trovare nel gergo, nei ritualismi, nelle parate mediatiche, ecc., una chance di efficientamento alla decisione pubblica in Italia. Che non si riesca più a farlo è provato dal ripetuto susseguirsi di governi tecnici che, precipitosamente chiamati in causa per tenere la barra dritta (specialmente dei conti pubblici) cedono grottescamente il testimone a maggioranze politiche cabarettistiche che ri-precipitano immediatamente il Paese nel rischio finanziario e nella gogna internazionale. La classe politica vive il “governo tecnico” come una usurpazione del suo potere costituzionalmente garantito perché si vede riconoscere con l’elettorato un patto che è esattamente il cuore del paradosso. Incontriamo subito a questo livello uno sbarramento retorico assai efficiente perché altamente evocativo: «ridare la parola agli italiani» è il mantra di chi circoscrive la catastrofe in atto alla mancata delega che chi non può offre a chi può (decidere, ovviamente).

Ma il buon senso suggerisce che, rianimando insistentemente due malati terminali della complessità sociale (parlamentarismo e suffragio universale), si prospettino al presunto popolo sovrano ambiti di scelta i cui effetti, quasi sistematicamente, gli si ritorceranno contro. Il livello di complessità della decisione politica non sembra più delegabile al suffragio universale, ma ad uno specialismo comprovato che sostituisca prestigio a tifoseria, capacità a presenzialismo mediatico e senso delle istituzioni ad interessi di parte. Coscienti di poter agire solo in base al proprio bricolage di cortile, falangi di politicanti proporranno risibili strategie di convincimento, dicendo che sono «il futuro». Possiamo continuare dentro questo sortilegio idiota? Che fine hanno fatto tutti coloro che manifestavano aperto sostegno alla continuità del governo Draghi? Anche loro divorati da due dei mali atavici di uno Stato senza Nazione come l’Italia, cioè cinismo e rassegnazione? Si alzi nuovamente il sipario sul cabaret della follia politicante.

*Sociologo della devianza e del mutamento sociale

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