Utilizzare bene le risorse se il futuro ci sta a cuore

Utilizzare bene le risorse se il futuro ci sta a cuore

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 22 Dicembre 2021, 18:03

Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione alle stime sull’evoluzione a lungo termine della popolazione. A livello internazionale ciò è determinato dalle preoccupazioni per la pressione sulle risorse del pianeta derivante dal continuo aumento della popolazione mondiale. È stata salutata quindi con notevole sollievo la recente notizia che l’India ha raggiunto prima del previsto il livello del tasso di natalità che consente di stabilizzare la crescita della popolazione. Poiché la popolazione dell’India è circa un quinto del totale si tratta di una notizia rilevante per l’intero pianeta. In Italia, come noto, le preoccupazioni sono di segno opposto. Dal 2007 l’Italia registra un saldo naturale (cioè la differenza fra nati e morti) negativo, solo in parte controbilanciato dal saldo migratorio positivo. Tutti gli scenari previsivi della popolazione nazionale prevedono un ulteriore peggioramento del saldo naturale e una riduzione della popolazione totale. Le differenze fra le stime riguardano solo l’entità del calo. Lo scorso novembre l’Istat ha prodotto un report molto dettagliato e aggiornato relativo alle stime della popolazione italiana a lungo termine, con previsioni fino al 2070. Oltre che basarsi su dati più aggiornati, che tengono conto del calo di natalità indotto dalla pandemia, la novità del rapporto è la stima dell’evoluzione della popolazione per le diverse aree territoriali del paese, fino al livello comunale. Ne emerge un quadro che l’Istat stesso definisce “di crisi”, tenuto conto che la popolazione residente (immigrati compresi) è prevista in caldo dai 59,6 milioni al 1° gennaio 2020 a 58 milioni nel 2030 e 47,6 milioni nel 2070. Nei prossimi anni il tasso medio annuo di variazione sarà all’incirca pari al -0,3%. Dopo il 2050 la riduzione è prevista in ulteriore accelerazione con una variazione media annua intorno al -0,6% all’anno. La riduzione della popolazione si accompagna ad una modifica della sua composizione per età, con un peso sempre più accentuato della popolazione anziana. Il rapporto fra giovani e anziani sarà di 1 a 3 nel 2050 e la popolazione in età lavorativa scenderà in 30 anni dal 63,8% al 53,3% del totale.

Il report dell’Istat propone una specifica metodologia per la previsione dell’andamento demografico a livello comunale nei prossimi 10 anni. Secondo lo scenario mediano l‘81% dei comuni sperimenterà un calo della popolazione residente da qui al 2030. Ciò si deve non solo al basso tasso di natalità ma anche ad un andamento sfavorevole del saldo migratorio sia verso l’estero sia verso altre località italiane. L’Istat valuta che tra il 2020 e il 2030 i comuni delle zone rurali ridurranno la popolazione del 6% passando da 10,2 a 9,6 milioni di residenti. In tali aree i comuni con saldo negativo rappresentano l’87% del totale. Ancora più problematica è la situazione per i comuni che ricadono nelle Aree interne, cioè quelle zone del territorio nazionale che si caratterizzano per la distanza fisica dall’offerta di servizi essenziali; la quota di questi comuni per i quali è prevista una riduzione di popolazione è pari al 95% e la riduzione della popolazione è di quasi il 10%. Le zone densamente popolate del nord Italia continueranno ad avere bilanci migratori positivi soprattutto a danno dei comuni del mezzogiorno. Nelle migrazioni a breve raggio l’Istat prevede un ulteriore spopolamento delle zone rurali a vantaggio dei centri medi e piccoli che mostreranno saldi migratori positivi. L’attendibilità delle previsioni demografiche diminuisce man mano che ci si spinge nel futuro ma può essere considerata molto elevata per il prossimo decennio. Un orizzonte temporale rilevante per buona parte degli interventi infrastrutturali che si stanno programmando con i fondi del Pnrr. Anche in considerazione del fatto che il debito che stiamo accumulando graverà su una popolazione lavorativa in significativa contrazione. Ciò deve indurci ad un utilizzo quanto mai accorto delle risorse, orientato alla sostenibilità e all’aumento della produttività. Solo attraverso quest’ultima potremmo garantirci il mantenimento degli attuali livelli di reddito pro-capite malgrado la riduzione della popolazione in età da lavoro. 

*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni

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