Aveva suscitato veementi reazioni un articolo pubblicato su questo giornale la scorsa estate nel quale invitavo a considerare la necessità di prendere atto e gestire, per quanto possibile, il processo di spopolamento delle aree interne. La ragione principale della reazione è stata probabilmente proprio l’utilizzo del termine spopolamento dal momento che il principale obiettivo delle politiche nazionali e regionali per le aree interne è quello del ripopolamento o, come usa dire da qualche tempo, del neo-popolamento. L’obiettivo è sicuramente condivisibile.
Ciò che è meno chiaro è in che modo questo obiettivo possa essere ottenuto. Il problema non riguarda la questione dei possibili modelli di sviluppo da proporre per queste aree ma più semplicemente la questione demografica. Una questione lungamente ignorata nel nostro paese e che solo da qualche tempo ha cominciato a ricevere la necessaria attenzione, in relazione alle drammatiche previsioni di riduzione della popolazione nei prossimi decenni. Proprio per la rilevanza sociale ed economica dell’evoluzione demografica, dal 2021 l’Istat ha iniziato a produrre previsioni della popolazione per classi di età a base comunale. Come ricorda l’Istat, queste previsioni sono rilevanti per vari ambiti: dalla programmazione sanitaria a quella previdenziale, dallo studio del fabbisogno urbanistico a quello energetico-ambientale, dall’organizzazione delle strutture scolastiche alla rete dei trasporti. Gli investimenti pubblici relativi a questi ambiti hanno orizzonti decennali e dovrebbero quindi tenere conto dell’andamento demografico a lungo termine. Agli inizi di agosto l’Istat ha reso pubbliche le stime aggiornate degli andamenti della popolazione totale e per classi di età.
Anche tenendo conto dei flussi migratori in entrata, la popolazione italiana è prevista in riduzione dai 59,6 milioni del 1° gennaio 2020 a 58 nel 2030, 54,1 nel 2050 e 47,6 nel 2070. Nei prossimi 10 anni l’81% dei comuni avrà un calo di popolazione; l’87% (cioè la quasi totalità) nel caso dei comuni di zone rurali. Le previsioni sono ovviamente soggette ad un certo margine di incertezza, che nel caso degli andamenti demografici è però molto contenuto. Finora le previsioni sono sempre state riviste al ribasso per cui è probabile che le cifre indicate si rivelino ottimistiche e il calo ancor più accentuato. Per le Marche nei prossimi 10 anni (dal 2021 al 2031) si avrà un calo di oltre 50.000 residenti (come se sparisse una delle principali città); un calo che andrà accentuandosi nei decenni successivi. Scendendo a livello comunale, secondo le stime Istat nel prossimo decennio Ancona passerà dagli attuali 99mila residenti a 96mila; Ascoli Piceno dagli attuali 46mila a 42mila; Fermo da 36mila a 34mila.
E’ vero che vi sono numerosi casi di persone che scelgono di vivere in luoghi isolati o poco densamente popolati. Tuttavia, se consideriamo il fenomeno delle migrazioni interne nel loro complesso la densità e l’agglomerazione continuano ad essere uno dei principali fattori di attrazione, soprattutto per i giovani e le persone in età da lavoro. Per questo il tema della densità dovrebbe essere un tema centrale anche nelle politiche di sostegno delle aree interne. Se l’ipotesi di una crescita generalizzata della popolazione in queste aree (o anche semplicemente di una tenuta) appare del tutto irrealistica potrebbe essere utile considerare politiche selettive che mirano a preservare un sufficiente grado di densità in alcune aree; accettando come contropartita una più accentuata riduzione in altre. Ottenere questo risultato non è scontato anche per la difficoltà del nostro sistema politico-istituzionale ad elaborare e mettere in atto politiche selettive, siano esse a livello settoriale o territoriale. E’ quindi molto probabile che si andrà avanti in questa situazione un po’ schizofrenica per cui nel dibattito politico e culturale si continuerà a parlare di ripopolamento (o neopopolamento) delle aree interne mentre l’Istat continuerà a ricordarci, a cadenza annuale, che la realtà va nella direzione opposta.
*Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni