La libertà di concorrenza dà efficienza ai mercati

La libertà di concorrenza dà efficienza ai mercati

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 26 Aprile 2023, 05:45

L’affermarsi dell’idea di libertà di concorrenza nelle attività economiche segna il passaggio dalla società feudale alla società moderna. Tale libertà è infatti associata all’idea che gli individui non siano costretti a rimanere ingabbiati in uno specifico ambito produttivo e sociale determinato dalla famiglia di origine ma possono provare ad affermarsi nei più diversi campi di attività in funzione delle loro capacità e delle loro ambizioni.

La libertà di concorrenza economica è a fondamento del pensiero liberale ed è strettamente connessa alla nostra idea di democrazia e di economia di mercato. La libertà di concorrenza assicura l’efficienza dei mercati. Sia in senso statico, impedendo il formarsi di situazioni di rendita; sia in senso dinamico, favorendo l’innovazione e gli incrementi di produttività. L’aspetto chiave della libertà di concorrenza è dato dall’eliminazione delle barriere all’entrata nei mercati.

Queste barriere possono essere ricondotte a due principali motivi: il comportamento delle imprese già presenti sul mercato e l’intervento pubblico. I comportamenti anticoncorrenziali sono tanto più probabili quando in un mercato vi sono poche grandi imprese che possono essere tentate di mettere in atto azioni tendenti a rendere difficoltosa l’entrata di nuove imprese. Si tratta dell’abuso di posizione dominante.

Tali pratiche sono molto spesso associate a comportamenti collusivi (cioè accordi fra le principali imprese) tendenti non solo a limitare l’entrata di nuove imprese ma anche ad evitare la concorrenza fra quelle già presenti sul mercato al fine di aumentare i prezzi e i profitti. Per limitare o impedire questi comportamenti i paesi industriali avanzati si sono dotati di specifiche normative e autorità che hanno il compito di vigilare sui mercati impedendo un’eccessiva concentrazione dell’offerta e reprimendo l’abuso di posizione dominante.

Una delle prime normative in questo ambito è stata quella emanata negli USA nel 1885 per contrastare i ‘trust’ (cioè le aggregazioni) dei produttori di petrolio. Per tale ragione, da allora queste normative e le relative autorità sono indicate con l’appellativo di antitrust.

Norme antitrust erano contenute anche nel trattato di Roma, istitutivo della Comunità Europea, e la Commissione UE ha un commissario dedicato alla tutela della concorrenza. Anche in Italia è presente una normativa antitrust e un’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm). Per paradosso, mentre con la normativa antitrust il legislatore cerca di garantire la libertà di concorrenza, è proprio dall’intervento pubblico che deriva la maggiore presenza di barriere all’entrata in tutti quei mercati nei quali l’avvio di una nuova attività è sottoposta a concessioni pubbliche. In Italia queste situazioni sono molto diffuse, tanto che l’Agcm ha più volte richiamato il governo e il parlamento alla necessità di riforme “di sistema” che riguardano un numero consistente di ambiti, fra i quali i regimi di concessione dei beni pubblici, i servizi pubblici locali, il trasporto pubblico, le professioni. Su tutti questi fronti l’Italia ha accumulato ritardi notevoli rispetto agli altri paesi UE, che si è impegnata a recuperare nell’ambito del Pnrr.

L’Agcm ha stimato che una maggiore concorrenza nei servizi pubblici in concessione consentirebbe aumenti di produttività in questi servizi di oltre il 25%. Senza contare gli effetti benefici delle liberalizzazioni in termini di innovazione e mobilità sociale. Le difficoltà incontrate dai governi e dalle maggioranze di vario orientamento nell’affrontare questa materia deriva innanzitutto dalla forza di pressione delle categorie che vedono minacciate le posizioni di rendita; vedi il caso recente delle concessioni balneari.

Ma anche dalla scarsa sensibilità degli elettori per questi temi: siamo generalmente inclini al mantenimento dello status quo e delle posizioni di rendita piuttosto che a favorire la libertà di concorrenza. È un atteggiamento che si spiega con la storica debolezza della cultura liberale nel nostro paese. Non è un caso che l’Italia si è dotata di una normativa antitrust nel 1990, con un secolo di ritardo dalla prima normativa antitrust negli USA.

* Docente di Economia alla Politecnica delle Marche e coordinatore Fondazione Merloni

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