Una visione per le Marche che produca cambiamento

Una visione per le Marche che produca cambiamento

di francesca spigarelli
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Sabato 25 Novembre 2023, 06:10

In queste ultime settimane sono state pubblicate due importanti analisi che delineano lo stato di salute dell’economia del nostro territorio. Da un lato, l’aggiornamento congiunturale della Sede di Ancona della Banca d’Italia. Dall’altro, la “Classifica delle principali imprese marchigiane” dell’Osservatorio imprese della Fondazione Aristide Merloni coordinato dal collega Donato Iacobucci (Università Politecnica delle Marche). Vorrei prendere spunto da quanto riportato in quei rapporti, affiancati da alcuni altri dati, per capire cosa (di nuovo?) sta succedendo nei nostri territori. La Banca d’Italia, nell’analisi della congiuntura relativa ai primi sei mesi del 2023, traccia un quadro particolarmente fosco, sicuramente deteriorato rispetto all’analisi del 2022, presentata a giugno.

Confidustria Marche quantifica una riduzione della produzione manifatturiera di circa il 2%, in media, in confronto allo stesso periodo del 2022. La cosa maggiormente preoccupante è proprio legata alle aspettative negative, freno fortissimo alla crescita, agli investimenti, alle assunzioni. Anche per le imprese artigiane emerge lo stesso preoccupante quadro che riguarda ora anche il settore del turismo (si sono ridotti, nell’anno in corso, gli arrivi di turisti). I dati sulle esportazioni sono buoni, ma il + 18,2% delle vendite all’estero è frutto del contributo positivo del settore farmaceutico e, purtroppo, anche dell’inflazione. Particolarmente in sofferenza sono il settore dei metalli di base e prodotti in metallo, e le destinazioni dell’Unione europea (cresce invece la Cina). Guardando ai dati sul mercato del lavoro, che indicano un calo degli occupati dell’1,1%, emergono tre aspetti. Si ampia il differenziale tra tasso di occupazione maschile e femminile nella Regione, a dimostrazione delle persistenti difficoltà delle donne ad inserirsi (o a restare) nel tessuto produttivo.

In aggiunta, a fronte di un tasso di occupazione sostanzialmente stabile, i tassi di attività e di disoccupazione diminuiscono, ad indicare una minore partecipazione al mercato del lavoro stesso da parte dei cittadini, in un contesto di flessione della popolazione in età lavorativa. Infine, permane in modo diffuso e ampio la difficoltà delle imprese a trovare lavoratori da assumere. Un quadro in parte meno cupo, ma non certamente entusiasmante, emerge dall’Osservatorio imprese della Fondazione Aristide Merloni.

La crescita delle vendite delle principali imprese manifatturiere della regione nel 2022 è significativa (+16,1%), ma ad essa ha contribuito in via considerevole l’incremento dei prezzi. Inoltre, negli ultimi due anni, è calato il numero delle piccole imprese, soprattutto di quelle micro, che hanno sofferto particolarmente la crisi. Ancora una volta permangono i problemi di produttività del lavoro delle nostre aziende: il valore aggiunto per addetto generato è di circa il 30% inferiore a quello delle principali manifatturiere italiane. Una nota positiva viene da alcuni settori che stanno vivendo con slancio il periodo post pandemia. È il caso dell’industria della cantieristica navale, nei segmenti delle imbarcazioni da crociera e di lusso. In questo la regione Marche è leader in Italia: il fatturato generato nel 2022 ha superato 1 miliardo di euro, il 90% del quale destinato all’export.

Rispetto al quadro così delineato, un altro dato appare significativo. È quello delineato dall’analisi dell’Istituto Tagliacarne, recentemente pubblicato, relativamente alle imprese guidate dai giovani (under 35).

Dal 2012 al 2022 sono “scomparse” 6.429 aziende in mano a giovani nella nostra Regione: oltre un terzo di quelle esistenti. Peraltro, sempre meno giovani si fermano nelle Marche: abbiamo “perso” negli ultimi dieci anni 31.293 residenti tra i 18 e il 34 anni. I nuovi dati ci raccontano qualcosa di nuovo? Nuove fragilità? Decisamente no. Alcuni giorni fa, nel corso di un dibattito, ho indicato quelli che sono a mio avviso i quattro punti nevralgici e più critici della nostra Regione. Li riporto qui sinteticamente. Lo spopolamento e la desertificazione delle zone interne, alimentati dai disastri naturali che hanno flagellato il territorio, sono aggravati dagli effetti della struttura demografica della popolazione: da anni si fanno pochi figli, ci sono pochi ragazzi e molti anziani, i flussi di migranti sono bassi. La bassa qualità delle infrastrutture, dalla logistica alla digitalizzazione, è sotto gli occhi di tutti, specie se confrontata con regioni vicine come l’Emilia Romagna.

Per finire, la formazione e attrazione dei talenti. Il nostro sistema universitario è frammentato, con molte sovrapposizioni in termini di specializzazione, perde iscritti. Si potrebbe e dovrebbe fare molto di più per attirare talenti da fuori regione, per costruire un vero ecosistema della formazione di eccellenza, in grado di trattenere i migliori giovani all’uscita dalle scuole superiori per riversali poi, adeguatamente formati, nel sistema produttivo, culturale, sociale locale. I problemi sono sul tavolo. Quali le cause e quali le possibili soluzioni? Anche in questo caso la strada è già stata tracciata dai vecchi maestri. Servono forse un nuovo “coraggio” e una nuova “presa di coscienza” sulla gravità della situazione contemporanea e sull’urgenza di agire. Il prof. Giorgio Fuà indicava nelle “social capability” la risorsa chiave, senza la quale i territori non possono svilupparsi, crescere, prosperare.

Fuà sottolineava la necessità “di un quadro politico e giuridico, di un sistema di valori, di una mobilità sociale, di un genere d’istruzione, di una disponibilità di infrastrutture tali da favorire lo sviluppo economico moderno”. È su questi aspetti che serve coraggio e serve una presa di coscienza, specie da parte di chi ha responsabilità di “governance”, a tutti i livelli e in tutti i contesti, da quelli più macro a quelli più micro, nel settore pubblico quanto in quello privato. Come indicato da Piero Alessandrini viviamo in una condizione di “asimmetria tra la globalizzazione dei problemi” (crisi climatica, guerre, squilibri dei livelli di sviluppo, ondate migratorie) e “l’assenza di governabilità globale”.

Di conseguenza, spetta alle singole nazioni, alle singole regioni, alle comunità locali farsi carico della (complessissima) formulazione di politiche di cambiamento e dell’attivazione di strumenti di intervento. Servono, urgentemente, cambiamenti strutturali che conducano la nostra Regione ad una trasformazione in grado di permeare tutti i settori. Il punto è che non abbiamo solo bisogno risorse (e in tempo di PNRR ve ne è un’abbondanza); servono una visione (sul cosa fare e come produrre cambiamenti di lungo termine) e social capabilities (come diceva Giorgio Fuà).

* Professoressa ordinaria di Economia applicata Università di Macerata

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