Marchionne non dà speranze all'Europa:
«Per la ripresa servono 3 o 4 anni»

L'ad di Fiat Marchionne con l'ambasciatore americano in Italia Thorne
L'ad di Fiat Marchionne con l'ambasciatore americano in Italia Thorne
di Giorgio Ursicino
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Domenica 9 Giugno 2013, 19:53 - Ultimo aggiornamento: 11 Giugno, 20:01

TORINO - Il mercato dell’auto in Europa non ha ancora toccato il fondo, per salvare le fabbriche bisogna esportare in altri continenti. Sergio Marchionne aggiunge ogni giorno una pennellata alla sua tela e ieri, sempre a margine della consiglio Italia-Usa che presiede, ha introdotto altri elementi agli argomenti messi sul tavolo il giorno precedente. «Ci vorranno almeno 3 o 4 anni per vedere segnali di ripresa da questa parte dell’Atlantico», ha spiegato l’amministratore delegato di Fiat. Troppi per tenere in piedi le fabbriche senza puntare con decisione sull’export. Marchionne ha ribadito ancora una volta gli impegni presi:

Le fabbriche in Italia non sono a rischio. «Confermo quello che ho detto al ministro Zanonato: in Italia non chiuderemo alcuna fabbrica, ma in attesa che si concretizzino gli investimenti sarà necessario utilizzare la cassa integrazione.

Su Mirafiori ci stiamo organizzando, al momento opportuno illustreremo il piano nei dettagli». Affinché la svolta verso l’alto di gamma per facilitare le esportazioni funzioni, servono però almeno due condizioni esterne a Fiat.

Un impegno preso dal governo. Dopo aver puntato l’indice sul valore dell’euro troppo elevato, Marchionne torna a parlare del problema occupazione che è strettamente legato all’organizzazione del lavoro e chiama in causa il governo: «Non chiediamo incentivi, ma di facilitare il processo di esportazione creando tutte le condizioni possibili e immaginabili. Questo esecutivo si è insediato da trenta giorni, non possiamo rompergli le scatole. Ma l’impegno con noi dovrà tornare sul tavolo, credo che sia un interesse anche di Confindustria perché aiuterebbe anche tutti gli altri». Un impegno preso dal precedente premier Mario Monti quando incontro a Palazzo Chigi i vertici del Lingotto. Prima di tornare sulla fusione con Chrysler, l’ad di Fiat tratta temi inediti e apre spiragli su altri argomenti.

Un partner per la Jeep in Cina. «In Cina abbiamo un buon partner con cui abbiamo iniziato la produzione della Viaggio, siamo soddisfatti. Ma ora stiamo lavorando per sviluppare la strategia di Jeep che è il marchio più promettente su quel mercato. L’autorità prevede la collaborazione con un gruppo locale, in molti vogliono associarsi con noi, potremmo scegliere anche un altro alleato. È positivo che Exor abbia dato la sua disponibilità ad un eventuale aumento di capitale dopo la fusione, da lunedì avranno in cassa due miliardi in più dopo la vendita delle quote Sgs». Marchionne conclude parlando dell’azienda di Auburn Hills, della fusione e della quotazione in borsa, due operazioni separate ma anche intrecciate.

Fusione e quotazioni, operazioni parallele. Tutte e due sono volute da entrambi gli azionisti (Lingotto e fondo Veba), ma con modalità e obiettivi diversi. Il manager italo-canadese vorrebbe quotare la newco a Wall Street dopo la fusione come già fatto con Industrial e CNH («un’operazione che ha portato vantaggi enormi»). Il sindacato Usa ha invece chiesto la quotazione di Chrysler a prescindere sperando magari di convincere Marchionne ad alzare l’offerta (le parti restano distanti). «La fusione non avverrà prima del quarto trimestre, loro hanno chiesto di andare in borsa, si devono incrociare i tempi. No, non abbiamo ancora deciso le modalità, ci stiamo lavorando», ha spiegato Marchionne, sottolineando che le trattative con Veba riguardano solo il prezzo e non gli aspetti industriali e di prodotto poiché il sindacato Usa ha una fiducia enorme in quello che fanno i manager e questo è un grande vantaggio.

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