L’allarme di Fenni: «Calzature, raddoppia la cassa integrazione. Ordini in calo del 30%»

L’allarme di Fenni: «Calzature, raddoppia la cassa integrazione. Ordini in calo del 30%»
L’allarme di Fenni: «Calzature, raddoppia la cassa integrazione. Ordini in calo del 30%»
di Massimiliano Viti
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Sabato 13 Aprile 2024, 03:55 - Ultimo aggiornamento: 12:07

FERMO «In questi primi mesi del 2024 le richieste di cassa integrazione sono raddoppiate rispetto allo stesso periodo del 2023». Dà una dimensione alla crisi della calzatura Valentino Fenni, presidente della sezione Calzature in seno a Confindustria Fermo. Cala il fabbisogno produttivo, aumenta la richiesta di cassa integrazione, facendo temere licenziamenti e chiusure di aziende. «La novità negativa è che stanno arrivando richieste anche da chi lavora con le griffe, che inizialmente avevano fornito rassicurazioni sul futuro del mercato. La diminuzione degli ordini, è in media del 30%» continua Fenni.

La crisi

Una crisi che va ad aggiungersi a quella sofferta dalle imprese con un marchio di proprietà provocata da un mercato poco dinamico, contrassegnato dalla carenza di consumi, acuita dal cambiamento climatico.

La stagione invernale, fin troppo mite, non ha favorito certo gli acquisiti di stivali, stivaletti e scarpe alte. Il comparto calzaturiero che viaggiava a due velocità (con le imprese col marchio proprio che marciavano più lentamente rispetto a quelle terziste) si è praticamente fermato.

Nelle Marche come in tutta Italia. Nella calzatura come nella pelletteria. I magazzini delle griffe e dei negozi sono pieni di invenduto e non c’è bisogno di nuova produzione. Se non per “rinfrescare” la vetrina e, solo in parte, l’offerta sugli scaffali. E se si fermano gli ordini a livello internazionale, la conseguenza diretta è il blocco delle produzioni affidate ai terzisti, spesso piccoli e monomandatari. «Ogni fabbrica impatta sul sistema sociale, perché ci sono famiglie dietro ogni artigiano» prosegue Fenni.

La fiera

«Il Micam lo ha dimostrato, registrando interesse per le collezioni, ma anche scarsa propensione agli ordini. Che poi sono arrivati, ma in quantità nettamente inferiore al passato. Questo comporta uno stallo produttivo, un inutilizzo delle materie prime e una necessaria cassa integrazione che non piace a nessun imprenditore» è il quadro tracciato dal presidente dei calzaturieri fermani. Le aziende che presidiano il mercato con un marchio proprio devono fare i conti con Belgio, Regno Unito e Germania che hanno dimezzato gli ordini. Stabili quelli provenienti da Russia e Ucraina «mercati che sono ancora importanti per il Fermano. Ogni paio è una boccata di ossigeno» commenta lo stesso Fenni. Che suggerisce a tutti di dimenticare i dati positivi del 2023 che portano fuori strada chi vuole analizzare la situazione e l’andamento del distretto calzaturiero Fermano-Maceratese.

L’export

«La crescita dell’export, tra l’altro in valore e non in quantità, è legata praticamente solo ad alcuni brand che producono nel Fermano. Per le Pmi, colonna portante del distretto, i numeri sono diversi» sottolinea l’imprenditore calzaturiero di Grottammare. «Abbiamo bisogno di aiuti che, in questo particolare momento, vadano oltre i contributi che Regione Marche e Camera di Commercio delle Marche ci garantiscono» osserva Fenni. Che continua: «Il 2024 è l’anno del made in Italy. Allora il ministro Adolfo Urso, che ha visitato l’ultima edizione di Micam Milano, faccia qualcosa di rivoluzionario. Perché non pensare a sistemi di sgravio per chi acquista prodotti italiani. Aiuterebbe le scarpe, ma la moda in generale. Una politica di incentivi già usata per le automobili, per l’edilizia, che merita un settore come il nostro capace di garantire una importante fetta di Pil nazionale e di dare lavoro a decine di migliaia di persone». Ma finora ogni aiuto chiesto dal settore moda in generale e dalle Marche è stato ignorato e disatteso dai vari governi che si sono succeduti. Citiamo il cuneo fiscale, la decontribuzione del 30% estesa alle aree di crisi complessa, la Zes-Zona Economica Speciale, le incertezze che ancora regnano sovrane sul credito di imposta su ricerca e sviluppo ed altre. E la proposta di incentivare chi acquista prodotti italiani rischia di essere l’ennesima proposta inascoltata di uno Stato che, solo a parole, tiene al made in Italy e vuole valorizzarlo.

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