La notte dell'11 novembre 2011 l'Italia è vicina al fallimento finanziario. Lo spread sfiora i 600 punti e il rendimento dei titoli, e degli interessi da versare, continua a salire. Il capo dello stato Giorgio Napolitano, di fronte all'impasse politico del governo Berlusconi, convince il premier a dimettersi e affida a Mario Monti la guida di un governo di unità nazionale, sul modello di quello che nel '78 vide alleati la Dc e il suo Pci. Anche grazie alla responsabilità del parlamento, il governo varò in extremis una serie di riforme, che misero al sicuro il bilancio.
Napolitano, cosa accadde quella sera
Una operazione netta e guidata da mano sicura da parte di un presidente mai sopra le righe, scrupoloso nel lavoro e garbato nei modi ma inflessibile nelle sue decisioni, e pronto a ingaggiare, all'occorrenza, battaglie durissime per quello che considerava il bene della collettività. Un uomo del novecento, tutto d'un pezzo. Forse condannato a restare al Colle proprio per questa ragione. Giorgio l'inglese - un comunista d'esportazione, volto ideale per sdoganare all'estero il vecchio Pci - ha lasciato una vita densa di battaglie, tra il plauso ovvio degli amici e la stima costruita nel tempo degli avversari. Ha accompagnato 9 anni di storia repubblicana dal Quirinale con l'eleganza che ha caratterizzato una vita intera dedicata alla politica. Primo dirigente comunista ad ottenere il visto per gli Stati Uniti, ammiratore della cultura anglosassone, ottima padronanza dell'inglese, Napolitano ha regnato su un Quirinale che dominava tormenti e macerie della politica, forte e rispettato come mai nel passato, autorevole nella sua proiezione internazionale.
Napolitano, al Colle in età matura
Un presidente giunto in età matura al Colle ma aperto al nuovo, ai diritti civili, progressista e convinto dell'universalità dell'etica e della morale. Un laico, seppure interessato ai problemi dell'anima come spiegò cercando di definire il profondo rapporto che costruì con papa Ratzinger.
Napolitano, il paragone con Pertini
Certo, re Giorgio non è stato quella forza della natura che fu Sandro Pertini. Il presidente che fece impazzire il Paese con uno scopone giocato con Bearzot, Causio e Zoff sull'aereo che riportava a casa gli indimenticabili campioni del mondo del 1982. I critici parleranno di Repubblica presidenziale e di interpretazione estensiva delle sue prerogative sulla vicenda delle dimissioni di Silvio Berlusconi. I sostenitori la giudicheranno una mossa determinante per evitare il collasso del Paese. Nonostante questo, è stato spesso criticato proprio a sinistra, dove in tanti non hanno gradito il suo via libera a provvedimenti del Pdl quali, ad esempio, il lodo Alfano. Filo conduttore della sua azione è stato il dialogo fra le forze politiche. I primi due anni li ha passati curando il traballante governo Prodi. Fino alla sua caduta e al ritorno del Cavaliere a palazzo Chigi. I successivi tre anni si sono consumati nel tentativo di arginare l'attivismo di Berlusconi. Paradossalmente è proprio con la nascita del governo Monti che si apre la fase più difficile: evitato il burrone della crisi, l'Italia non riesce a schivare quello della recessione. L'immagine del governo tecnico a poco a poco si sbriciola. Il Pdl lo molla e Monti si dimette, contro il parere del presidente. Non solo, decide di 'salire in politicà. Napolitano, inutilmente, lo sconsiglia. I loro rapporti personali ne escono incrinati. Poi, i risultati elettorali, lo stallo politico e le critiche per l'iniziative dei saggi, hanno regalato a Napolitano una conclusione amara del suo primo settennato.
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