Mascherine in bocca e sguardo a terra, c’è malumore tra gli operai: «In cantiere con il terrore di portare il virus a casa»

Mascherine in bocca e sguardo a terra, c’è malumore tra gli operai: «In cantiere con il terrore di portare il virus a casa»
Mascherine in bocca e sguardo a terra, c’è malumore tra gli operai: «In cantiere con il terrore di portare il virus a casa»
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Martedì 21 Aprile 2020, 06:55

ANCONA - Suona la sirena di fine turno, gli operai sbucano dal cantiere alla spicciolata. È mezzogiorno. Sguardo a terra, mascherine sulla bocca, cappuccio in testa per ripararsi dalla pioggerella, qualcuno tira dritto verso casa, approfittando della mezz’ora di uscita anticipata abbonata dall’azienda in questi giorni di ripresa. Altri fanno tappa alla mensa, ma prima si sottopongono al rito del termoscanner per verificare la temperatura corporea: se è sotto i 37,5°, c’è il via libera. Identico check a inizio turno, prima davanti agli spogliatoi, poi all’ingresso del cantiere, dopo un serpentone disegnato da barriere che conducono al tendone dei controlli: qui non si sfugge, chi ha la febbre viene isolato in un container in attesa del medico. 

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Dalla prossima settimana arriverà il termoscanner fisso per velocizzare le procedure perché la preoccupazione è una: evitare contagi. «Lavoriamo con il terrore di prendere il virus e portarlo a casa» confessa Massimiliano Anastasi, delegato della Fiom che ieri ha organizzato un presidio davanti a Fincantieri, tornata operativa dopo due mesi di quarantena. «La cassa integrazione era prevista fino al 3 maggio, ma la Direzione ha voluto forzare la riapertura e questo ha creato malumore tra i dipendenti». Erano circa 350 quelli chiamati all’appello ieri, spalmati su tre turni, a partire dalle 6 del mattino, per la ripartenza dell’officina navale, dove arrivano le lamiere per essere tagliate e calandrate. «Il problema non è adesso, ma tra qualche giorno: quando si tornerà a lavorare a pieno organico come rispetteremo la distanza e le misure di sicurezza?». 

La Fincantieri è una città nella città che convoglia fino a 3.500 persone tra dipendenti ed esterni. Prima del lockdown si era diffuso il panico, insieme al Coronavirus, quando si sono verificati due casi positivi: tra loro, il responsabile della sicurezza interna, tutt’ora all’ospedale (ma fuori pericolo). Anche per questo i sindacati hanno chiesto test sierologici su tutto il personale. Per ora si va avanti con mascherine e termoscanner impugnati dagli operatori delle ditte Insis e Consorzio Manutenzione Triveneto che distribuiscono anche mascherine all’occorrenza. «Nella mensa abbiamo distanziato e ridotto i tavoli, ma sarà difficile impedire che si formino file - ci spiega un capoprodotto -. Vale lo stesso per il traffico: ora non c’è nessuno, ma tra qualche giorno non sarà così. Procediamo per step, la situazione è nuova per tutti. Certo, la psicosi di ammalarsi c’è: tutti abbiamo anziani e bambini che ci aspettano». E c’è da portare a casa uno stipendio. «Un mese di cassa integrazione pesa sul bilancio familiare: ho due figli da mantenere, un mutuo e le bollette - dice Marco La Fata, delegato Rsu Fiom -. In più lavoriamo un ambiente particolare: basta un caso positivo per diventare una bomba biologica». 

Tiziano Beldomenico, segretario regionale Fiom Cgil: «Ribadiamo la nostra contrarietà alla riapertura di un cantiere che fa navi da crociera e, dunque, non è un’attività essenziale: l’azienda ha voluto fare una forzatura al decreto - spiega -. È stato da incoscienti riaprire adesso, dopo aver chiesto la Cig a zero ore per tutti i dipendenti e averci comunicato venerdì la decisione unilaterale di tornare al lavoro.

Si sottovalutano i rischi del cantiere e la paura dei lavoratori: uno stamattina (ieri, ndr) non si è sentito sicuro e dopo due ore se n’è andato. È in questo clima che si lavora».

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