«In due? Tavolo singolo. I gruppi nei più grandi divisi con il plexiglass, staranno un po’ stretti»

«In due? Tavolo singolo. I gruppi nei più grandi divisi con il plexiglass, staranno un po’ stretti»
«In due? Tavolo singolo. I gruppi nei più grandi divisi con il plexiglass, staranno un po’ stretti»
4 Minuti di Lettura
Sabato 16 Maggio 2020, 04:25

ANCONA - I tavoli sono pronti. Non sono ancora apparecchiati, chiaro. Ma la planimetria è a posto. Sono stati collocati uno a due metri di distanza dall’altro, in modo da creare spazi di quattro metri quadrati per ciascun cliente, come impone il più rigido dei protocolli, quello formulato da Inail e Istituto Superiore della Sanità. «Se i clienti sono in due, li faremo accomodare sul tavolo singolo, in modo che rispettino il metro di distanza tra loro e non ci sia bisogno di divisori. Se invece sono in tre o in quattro, allora li metteremo nel tavolo più ampio, separati da plexiglas: avranno uno spazio di 67 centimetri per mangiare, ma il problema è dove mettere il portapane». 

LEGGI ANCHE:

Coronavirus, spostamenti tra regioni permessi solo dal 3 giugno. Anche per visite ai congiunti

Al ristorante “Il Giardino” chef e camerieri si sono improvvisati geometri: si sono rimboccati le maniche e, metro in mano, hanno calcolato le distanze con millimetrica precisione. «Tocca fare così, altrimenti non ne usciamo», sospira Antonio Ambrosio, il padrone di casa, preoccupato più per i suoi dipendenti che per se stesso. «Qui ci sono ragazzi che hanno bisogno di portare lo stipendio a casa e se abbiamo organizzato l’asporto l’ho fatto solo per loro», confessa il ristoratore, mentre maneggia un aggeggio di legno che a vederlo sembra uscito da una falegnameria. Che ci fa con quello? «Ce lo siamo inventati noi per regolare le dimensioni dei tavoli a seconda delle esigenze», rivela Ambrosio. 

 
In parole povere, è una prolunga che si fissa sotto i tavoli più piccoli e si estrae per farli diventare lunghi un metro. L’emergenza aguzza l’ingegno. «Il problema è se cambiano di nuovo le disposizioni e aumentano ulteriormente gli spazi. A quel punto la soluzione sarebbe semplice: chiudere tutto e tornare quando il virus sarà scomparso». Alzi la mano chi, tra gli operatori del food, non è stato attraversato dalla stessa idea: in fondo, tra leggi, protocolli e annunci di vario genere, le certezze sono poche e la confusione ancora tanta. Eppure mancano 48 ore al giorno X, quando ristoranti, bar, pizzerie e locali notturni potranno riprendere l’attività a pieno regime. «Prenotazioni per lunedì? No, non ne abbiamo ancora - fa Ambrosio -. È troppo presto, se Ceriscioli non dà l’ok ufficiale non posso prendere nessuna iniziativa. Mi è già bastato tutto il cibo che ho dovuto buttare via durante la chiusura obbligata. Noi lunedì apriremo solo se ci dicono con chiarezza come fare. Al momento, abbiamo dovuto ridurre di un quinto la capienza, passando da 300 posti a 60».

«E poi - continua Ambrosio - mi piacerebbe capire se all’esterno le persone possono stare più vicine e se i componenti dello stesso nucleo familiare possono stare tutti in un tavolo. Ma se dovessero cambiare di nuovo le misure, sarebbe un disastro». Un danno aggiuntivo a quello già patito dagli imprenditori del settore. Quando si dice che il virus ha messo con le spalle al muro intere categorie produttive, settore della ristorazione ovviamente in primissima fila. Ambrosio ha fatto un rapido calcolo: tra i mancati introiti durante il lungo lockdown e la riapertura a scartamento ridotto «perderò 105mila euro di incassi al mese.

Si rende conto di cosa significa?». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA