ANCONA «Manda a Corinaldo più squadre possibili, qui è un disastro». Il dibattimento per la strage di Corinaldo, filone dei colletti bianchi, è iniziato con la registrazione della chiamata con cui Fabrizio Solazzi, vigile del fuoco fuori servizio, sollecitava i colleghi a mandare rinforzi alla Lanterna Azzurra perché la situazione, la notte dell’8 dicembre 2018, era «agghiacciante».
Il racconto
«Sono corso lì - ha testimoniato ieri Solazzi - perché c’erano le mie figlie, la più grande mi aveva chiamato perché non trovava più la sorella.
A testimoniare anche i medici del 118, accorsi a Corinaldo quella tragica notte. La prima chiamata dalla centrale operativa era partita per le reazioni dei presenti allo spray al peperoncino. «Quando arrivammo lì - ha detto il dottor Francesco Camerlingo, della postazione di Senigallia - c’era un torrente di persone che si muoveva verso di noi. Era uno stadio. Una volta aperto lo sportello dell’ambulanza, i ragazzi ci hanno letteralmente prelevato e portato in un punto più vicino alla discoteca dove ho visto dei corpi a terra. Alcuni erano in agonia, altri senza vita. I ragazzi vivi chiedevano aiuto, erano nel panico».
«Utilizzate tutte le bombole che avevamo»
La seconda ambulanza era partita da Arcevia, coordinata dalla dottoressa Carla Sebastianelli: «C’era folla, tantissima gente che urlava e piangeva. Quando siamo arrivati c’erano 5 corpi senza vita e una donna (Eleonora Girolimini, ndr) che stavano provando a rianimare in ambulanza». Molti ragazzi erano rimasti privi di ossigeno: «Utilizzammo tutte le bombole che avevamo». Le lesioni maggiori erano ipossia e traumi da schiacciamento: «Come all’Heysel» la similitudine del medico.
In udienza c’erano gli amici della 15enne Benedetta Vitali, una delle 6 vittime. Hanno portato una maglietta con la foto della ragazza e la scritta: «Sono e sarò sempre con voi, non dimenticatemi mai. Ciao Beba». Alcuni erano a Corinaldo quella notte: «Eravamo tutti insieme, ci stavamo divertendo. Poi ci siamo trovati da soli a vivere un incubo. Perchè siamo qui in tribunale? Anche se non è possibile rimarginare la ferita, vogliamo chiudere un capitolo, se lo meritano le famiglie delle vittime che sono qui ogni volta e si vedono sempre prolungare i tempi della giustizia».