CORINALDO Il citofono suona nel cuore della notte dell’8 dicembre 2018 a casa Orlandi, a Frontone, nell’entroterra pesarese. Sono gli amici di Mattia. «Correte a Corinaldo, è successo qualcosa di brutto». Paola e Giuseppe si vestono e partono. Mattia non risponde al telefono. Temono sia rimasto ferito in una rissa. Mentre il padre del 15enne guida, la madre digita sul telefono “Lanterna Azzurra Corinaldo” per cercare la strada ma si imbatte subito in numerosi articoli che parlano di sei vittime. Il panico, poi la conferma, una volta alzato il lenzuolo bianco. Paola Paterniani e Giuseppe Orlandi tornano a parlare e puntano il dito contro la commissione di vigilanza, che ha autorizzato l’apertura del locale.
La vigilia tormentata
Hanno deciso di ripercorrere l’incubo, in cui hanno perso il loro unico figlio, alla vigilia di una nuova udienza. Non cercano vendetta, ma giustizia. Per Mattia e gli altri cinque angeli schiacciati nella discoteca-trappola. «Perché proprio oggi? – dicono –. Perché il giudice sarà chiamato ad esprimersi sulla richiesta delle difese di rendere inutilizzabili le consulenze tecniche, depositate dalla Procura sulla mancata sicurezza del locale. Escluderle dal processo sarebbe uno schiaffo a chi, come noi e i familiari delle altre cinque vittime, ha perso un proprio caro. Vorremmo che tutti meditassero su ciò che è accaduto, che si mettessero nei panni di due genitori svegliati alle 2.30 di notte».
L’inizio della fine
La firma
Gli Orlandi sono arrabbiati per quella firma che ha fatto morire il figlio, altri quattro adolescenti e una giovane mamma. «Se la commissione di vigilanza non avesse aperto la discoteca in un deposito agricolo – aggiungono -, dove potevano entrare solo sacchi di patate, oggi non saremmo qui a piangere i nostri cari. Persone stipendiate dallo Stato, hanno provocato la morte di sei persone e le abbiamo pure pagate per questo. Mattia voleva dichiararsi ad una ragazza di Pergola, che poi è stata in coma ma per fortuna si è salvata. Doveva essere una serata importante per lui, se la meritava, invece l’hanno ucciso».
I genitori di Mattia vogliono tenere alta l’attenzione sul percorso giudiziario che ha già accertato, con condanne anche in appello, le responsabilità della banda dello spray. Sotto accusa ora c’è l’apertura del locale e la fuga incontrollata di circa 1.200 persone, che ha provocato la morte per asfissia di cinque adolescenti Mattia, Emma, Asia, Benedetta e Daniele e di una giovane mamma, Eleonora. Sono 19 in tutto (con filoni differenziati tra rito ordinario e alternativi) gli imputati del processo bis che riprenderà oggi. Le difese hanno contestato le perizie tecniche irripetibili affidate ai consulenti della procura, quando ancora loro non erano indagati.
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