Subito dopo la seconda guerra mondiale, gli scienziati americani si preoccupavano di come nutrire il mondo, e molti studiarono la possibilità di coltivare un’alga d’acqua dolce, la Chlorella pyrenoidosa, per fornire proteine a miliardi di persone.
Ma nella corsa a sfamare il mondo hanno poi vinto le tecnologie agrarie, grazie ai fertilizzanti, ai pesticidi e adesso alla biotecnologia. Ora che i cambiamenti climatici diminuiscono gli spazi seminabili e causano una progressiva carenza di acqua, qualcuno torna a sperimentare con le alghe, per la loro potenzialità di diventare il grano del futuro. Una ricerca della Cornell University, finanziata in parte dal Dipartimento dell’Agricoltra e da quello dell’Energia, dimostra che si potrebbe aumentare la produzione alimentare del 50% entro il 2050, usando spazi molto limitati, in acquaculture onshore lungo le coste: «Abbiamo l’opportunità di coltivare cibo altamente nutriente e a crescita rapida, e possiamo farlo in ambienti in cui non siamo in competizione per altri usi – afferma Charles Greene, professore di scienze della terra e dell’atmosfera alla Cornell – E poiché coltiviamo in strutture relativamente chiuse e controllate, non abbiamo lo stesso tipo di impatto ambientale».
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