Luca Nesti, come nasce questo racconto?
«La Banda Gaber ha fatto un casting per una reinterpretazione spontanea delle canzoni del Signor G, sapendo che è assolutamente inimitabile né da cover né da tribute band. Io ho partecipato al casting e da allora lo ricordiamo».
Come ha pensato di strutturarlo?
«Alla prima prova ho ricevuto il materiale, e analizzandolo ho voluto creare un talk show, con passaggi e aneddoti della vita che i musicisti hanno passato con Giorgio Gaber, e ho scritto il copione. Raccontiamo il pensiero di Gaber, a volte una visione anarchico-moderata, e diamo importanza alle canzoni rilevanti nel suo show. Ma al di là delle opere di Gaber, diamo spazio al vero Giorgio, raccontando particolari che conoscono le persone della sua famiglia e quelle che gli sono state vicine».
L’aneddoto più bello sul Signor G?
«Ce ne sono tanti, per la verità. Alcuni profondi, dal suo diario, dalla sua parte “oscura”. Prima non c’erano i social che raccontavano le cose intime degli artisti. Posso dire che racconteremo, tramite il pianista, il fatto che ad esempio Gaber leggeva una sola volta un copione anche lunghissimo, di tantissime pagine, e già se lo ricordava. I testi non hanno mai la formula della citazione canonica. Valorizzeremo anche la toscanità».
Perchè continuare a raccontarlo oggi?
Cioè?
«È attuale, conserva la maestria in grado di creare atmosfere, uniche, per il fatto, come dicevo, che nessuno può pensare di imitarlo. Lo rileggiamo e interpretiamo in un’ottica diversa, ma sempre del vero cantautorato, oggi è tutto rap e pop».
Di cosa ha bisogno la musica italiana per non morire?
«Il cantautorato italiano è in cerca di identità. Oggi si confonde il nuovo pop con il cantautorato: nelle sale prove si ascolta della buona musica, ma le case discografiche non la fanno emergere. La maggior parte sono multinazionali, che non hanno nemmeno sede nel territorio nazionale. Oggi è difficile che si sperimenti e si è scoperto che l’hindie aspettava solo di entrare nel mainstream».
Quindi Gaber manca alla musica italiana?
«Manca molto, serve ascoltarlo e ricordarlo, per aiutare la musica, lui serve come servono i libri per chi ama ancora l’odore della stampa per costruirsi un pensiero. Serve differenziare e per andare avanti, bisognerebbe tornare indietro: si dovrebbero occupare i piccoli spazi della musica, teatri non grandi, come Rapagnano, le persone devono emozionarsi per ciò che i testi hanno da dire».
C’è un impoverimento oggi?
«Non sarebbe nemmeno nella musica, ma della società, che cerca un consumo veloce della canzione e a volte si perde qualità. Io produco artisti giovani, ma a volte capita che dobbiamo tagliare, il brano deve essere corto e resta complicato rispettare le sonorità».
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Utilità Contattaci
Logout