Il trombettista Rava in concerto per la rassegna JazzAp: «Sul palco a 83 anni con la passione di sempre»

Rava in concerto per la rassegna JazzAp: «Sul palco a 83 anni con la passione di sempre»
Rava in concerto per la rassegna JazzAp: «Sul palco a 83 anni con la passione di sempre»
di Massimiliano Viti
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Giovedì 8 Settembre 2022, 02:35

MONTEPRANDONE - Per Jazzap sabato, 10 settembre, alle ore 21,30 a Monteprandone, in piazza dell’Aquila, arriverà il trombettista Enrico Rava con il quartetto formato da Gabriele Evangelista al contrabbasso, Francesco Diodati alla chitarra ed Enrico Morello alla batteria. Rava, 83 anni, è il jazzista italiano più conosciuto all’estero ed è il capostipite del jazz italiano.

Vista la situazione attuale, con che spirito andrà sul palco?
«Si sale sul palco con la passione di sempre. Si è in un’altra dimensione e per un’ora e mezza si dimentica di tutto il resto. È una (ahimè breve) parentesi di gioia per chi suona e (si spera) per chi ascolta».

Un musicista è chiamato a esprimersi a livello politico?
«Solo se vuole. Quella del messaggio da inviare al pubblico è una grande stronzata. L’unico scopo è fare musica. Le note in sé sono neutrali. Non c’è una musica di sinistra o di destra. Poi ognuno dà loro il senso che vuole con il testo».

E si devono suonare le note necessarie, come il titolo del suo libro…
«Possibilmente. Invece, in genere, si suonano moltissimo quelle non necessarie perché si ha paura del silenzio».

Come sceglie i suoi partner musicali?
«Cerco musicisti che abbiano una visione della musica affine alla mia. Una delle cose più stupefacenti del jazz è che se si suona con le persone giuste, fin dal primo istante tutto funziona perfettamente. Viceversa è come comunicare in una lingua che non si conosce. Alla base di tutto ci deve essere la reciproca fiducia. E quando c’è, nel palcoscenico si manifesta la democrazia perfetta: ogni musicista dà e riceve. È un piacere incredibile ed è il motivo per cui continuo a suonare».

Come giudica il panorama del jazz italiano?
«Strepitoso.

Ci sono dei musicisti giovani che sono fantastici. Posso citare Anais Drago con la quale suonerò in duo anche nei prossimi mesi. Il livello dei giovani è altissimo e ce ne sono tanti. Nelle Marche lo sapete bene con il premio Massimo Urbani. E per me è incredibile perché quando ho iniziato, in Italia c’erano solo tre musicisti che vivevano di jazz (io, D’Andrea e Rotondo). E quando sono andato via da casa per il jazz è stata una mezza tragedia familiare. Non era nemmeno contemplata questa possibilità. È stato come se andassi a fare l’astronauta. Oggi si può vivere di jazz e ci sono tanti giovani che lo fanno. Penso che l’Italia sia leader in Europa in questo».

Qual è il suo quintetto all-star di tutti i tempi?
«Per me è il quintetto di Miles Davis. Quindi Ron Carter, Tony Williams, Herbie Hancock e Wayne Shorter. Questo è il Gruppo. Tra l’altro tutte le volte che ho sentito un gruppo di all star, i singoli suonavano benissimo ma insieme non producevano niente. I musicisti di Miles hanno toccato il loro apice solo con lui. Il disco My Funny Valentine di Davis è uno dei punti più alti della musica del ‘900. Della musica non del jazz».

La scelta dei musicisti di un gruppo è fondamentale… 
«Quello che conta non è saper suonare lo strumento in maniera strabiliante ma è riuscire a fare musica insieme. Ciò va al di là della bravura. È toccare la magia non fare matematica. E la scelta dei musicisti del gruppo è già la prima forma di composizione. La musica nasce da qui».

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