Il regista Giovanni Ortoleva e “La dodicesima notte (o quello che volete)”: «Una riflessione sull’amore»

Il regista Giovanni Ortoleva e “La dodicesima notte (o quello che volete)”: «Una riflessione sull’amore»
Il regista Giovanni Ortoleva e “La dodicesima notte (o quello che volete)”: «Una riflessione sull’amore»
di Chiara Morini
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Venerdì 1 Marzo 2024, 07:08 - Ultimo aggiornamento: 12:52

Non una commedia d’amore, ma sull’amore: così il regista Giovanni Ortoleva considera “La dodicesima notte (o quello che volete)” di William Shakespeare. La commedia andrà in scena a Recanati, dopo una residenza di riallestimento, domenica 3 marzo alle ore 17 al teatro Persiani. La compagnia sarà poi al teatro Rossini di Pesaro giovedì e venerdì 7 e 8 marzo, alle ore 21, sabato 9 marzo alle ore 19 e domenica 10 alle ore 17.

Giovanni Ortoleva, regista dello spettacolo, come vi trovate nel riallestimento a Recanati?

«È l’ideale, mi piacciono i luoghi più raccolti: lavorare qui, dove c’è un bel teatro, il cuore della città, è stupendo».

Come mai ha scelto proprio questa commedia?

«Mi è arrivata la richiesta di mettere in scena una commedia di Shakespeare, ho scelto questa perché è malinconica e strana allo stesso tempo, con un messaggio ambiguo. Spesso la si considera una storia d’amore, ma dobbiamo pensare anche all’inverso, cioè che è una riflessione sull’amore. Inoltre è anche una storia che parla di un innamoramento e un’ossessione verso sé stessi. I personaggi si servono del sentimento, presentano loro stessi invece che l’oggetto dell’amore. È come se fossero davanti a un grande specchio».

Ci sono particolarità nella sua messa in scena?

«No, in Shakespeare le indicazioni sono date dal testo. Nella scenografia mi sono concentrato sulla difficoltà dei personaggi di dire chi è il servo e chi il padrone, perché ho fatto la scelta di concentrarmi sulla società e sull’amore».

È difficile dirigere una compagnia giovane con un’opera come questa?

«Può avere dei lati scivolosi, ma devo dire che arricchisce e aiuta a superare le fragilità.

Sei obbligato a diventare una guida per il cast, è un’esperienza molto formativa, forse la più formativa avuta finora».

Quando è rimasto conquistato dal teatro?

«Ero molto giovane, mi piaceva. Anche se per un periodo lo avevo lasciato da parte, la sua chiamata era inevitabile. Avevo fatto altro nel frattempo, mi sono anche laureato in psicologia, ma il richiamo del palcoscenico era troppo forte. Ho provato e alla fine eccomi qua».

Nel 2018 ha ricevuto la menzione speciale tra i registi under 30 alla Biennale di Venezia: ricordi ed emozioni?

«Ho sentito addosso una squassante responsabilità, mi avevano detto che lo ero e quindi sentivo di doverlo essere. Ora non penso più a questa menzione come un senso di maggiore responsabilità (a parte il fatto che ormai non sono più under 30). Prima, visto il titolo, sentivo di dover rispettare le aspettative, ma ho studiato molto per arrivare fin qui».

Anche perché il teatro va onorato.

«Sì, ma non solo, ti pone davanti a tutte le tue insufficienze».

Oggi quanto è difficile fare teatro, anche per i giovani?
«Quando partono i lavori, accade che a volte si finisca di vedere come cosa più importante quello che c’è intorno, e questo ti fagocita. Invece bisogna ricordarsi dell’importanza della sala. Ma per fortuna come in questo caso c’è un buon gruppo di supporto».

Dopo La dodicesima notte, ha già pensato a quale sarà il nuovo lavoro?

«Un romanzo dell’800, ma non posso dire quale. Diciamo che con questo libro si chiude un percorso romantico iniziato con la storia di Lancillotto e Ginevra, con questa con cui sono nelle Marche. Spero che poi in autunno possa arrivare anche il nuovo spettacolo nella vostra regione».

Chiara Morini

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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