Vizioli firma la regia di “Così fan tutte”, opera con scene e costumi di Milo Manara: «Qui la fragilità umana è letta con una sorta di pietà»

Vizioli firma la regia di “Così fan tutte”, opera con scene e costumi di Milo Manara: «Qui la fragilità umana è letta con una sorta di pietà»
Vizioli firma la regia di “Così fan tutte”, opera con scene e costumi di Milo Manara: «Qui la fragilità umana è letta con una sorta di pietà»
di Giovanni Filosa
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Domenica 15 Ottobre 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 10:59

JESI - Stefano Vizioli, diplomato con il massimo dei voti e la lode in pianoforte, regista con ottima reputazione internazionale, firma la regia di “Così fan tutte”, opera di Mozart–Da Ponte, che solo negli ultimi cinquant’anni ha trovato quella collocazione che merita nel mondo della lirica. Chi la voleva comica, chi la voleva un dramma... L’opera debutterà, con scene e costumi realizzati dallo straordinario genio di Milo Manara, inaugurando la Stagione lirica della Fondazione Pergolesi–Spontini al Massimo jesino, venerdì 20 ottobre alle ore 20,30. 


Una trama leggera...
«È un’opera fra le più tormentate della trilogia Da Ponte–Mozart, perché, semplicemente, è un’opera che non da risposte. Anzi, fa scaturire, se possibile, molte domande. La trama, è vero, sembra leggera, si parla di corna, di tradimenti, si parla di desiderio fisico, di passione, e quindi, per certi aspetti, di mancanza di controllo con una sensualità scatenata. Testosterone a mille… Però è anche l’opera in cui la fragilità umana è letta con una sorta di pietà. Alla fine di questa storia d’amore e di tradimenti, i personaggi si trovano più soli di prima. È un’opera comica e tragica allo stesso tempo».

 
Lei sembra armato di una buona dose di cinismo…
«Lo debbo ammettere, però, per paradosso, Mozart mi frega. La sua musica alla fine è talmente pregnante, profonda, che io debbo fare i conti con una mentalità lucida, cartesiana. In una partitura che ti offre, alla fine, una contraddizione schizofrenica».
È vero che lei propone una sorta di finale “aperto” nella sua lettura di regista?
«Ma sì, i giovani interpreti scommettono sulla fedeltà delle loro fidanzate reciproche, si travestono e fanno la corte alla fidanzata dell’altro, fino a farle capitolare, e tutto per una scommessa. Le confesso che trattare le donne in questo modo non è molto carino ma poi accade che, alla fine, i ragazzi ne escano ampiamente cornificati. Questo che vuol dire? Che, in fondo, sono tutti più soli, più abbandonati a sé stessi. Dopo essere stati sbattuti in questo oceano dei sentimenti chissà se si ritroveranno mai più? Un’opera, direi, molto amara, psicologicamente parlando molto triste, però anche molto vera. La fragilità umana è una cosa con cui bisogna sempre fare i conti».
Nel creare questo trasgressivo rapporto fra ragazzi e ragazze, sembra che lei voglia confrontarsi con l’attualità..
«Non so se le due epoche si potranno mai avvicinare, ieri ed oggi. Confesso che ho sempre riletto ad alta voce il sottotitolo “La scuola degli amanti”. Ecco, è una palestra delle emozioni, in cui si deve fare i conti con la gelosia, con sé stessi, con la insicurezza, la fragilità, la voglia di vendetta, la difficoltà del perdono. Alla fine ne esce una ginnastica dell’anima, dei sentimenti, tanto difficile da sostenere che ti vien voglia di dire, oggi come allora, che è necessario imparare da Mozart l’indulgenza nei confronti del peccato inteso come fragilità. E la scuola degli amanti sottolinea che così fan tutte ma anche che così fan tutti». 
Lei realmente com’è? La troviamo nell’opera? 
«Io sono una delle persone più coerentemente infedeli nella storia del mondo».

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